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"Da che arte stai?" Nessun dubbio sull'arte contemporanea

Abbiamo letto il libro appena uscito di Luca Beatrice ‘Da che arte stai?’ sott. 10 lezioni sul contemporaneo, pp. 223 edito da Rizzoli, 2021

16 Maggio 2021

"Da che arte stai? Nessun dubbio sull'arte contemporanea": in libreria il nuovo volume di Luca Beatrice

Luca Beatrice (Fonte: Wikipedia)

Nel suo ultimo libro Luca Beatrice, professore di storia dell’arte alla accademia Albertina di Torino, già curatore del padiglione Italia alla Biennale di Venezia nonché firma del Giornale, racconta in maniera molto professionale e con grande capacità di sintesi la storia dell’arte a partire dalle avanguardie, suddividendo il volume in 10 lezioni-capitoli, ordinati in senso cronologico, o tematico, accompagnati da 3 opere illustrate a compendio di ciascuno. Spiccano i capitoli sulla diatriba figurativo-astratto, sull’informale, sulla Pop Art, sull’arte delle donne, sugli  anni '80, dove cita veramente quasi tutto e tutti. Secondo la premessa questa narrazione è parziale e si focalizza di più su alcune linee guida piuttosto che altre, sembrando abbastanza ortodossa, per non dire conforme alle regole. E forse questo è il suo difetto. Non ci sembra un testo rivolto ad un ‘pubblico non specializzato’ o a studenti universitari/accademici alle prime armi, invece sembra proprio rivolto a loro o al loro proselito; nel testo si raccolgono molte curiosità e aneddoti, non mancano nel testo riferimenti puntuali alle mode del tempo e alle gallerie di riferimento, ai principali eventi che vengono citati in molti differenti manuali, una vera impresa metterli insieme. La sintesi del capitolo delle avanguardie in cui si fa un gioco di prestigio in sole 12 pagine, é a dir poco eccezionale.

Poi gli spunti personali e autobiografici, come la nostalgia per le amate storie dell’arte di Argan e di Gombrich,   ormai considerate obsolete dagli attuali insegnanti di liceo e sostituite da testi che sembrano più dettagliati ma telegrafici, danno l’impressione che questo testo rimarrà a lungo di riferimento, a causa di un mondo italiano da sempre povero di libri e considerazione per  l’arte contemporanea. Forse dopo un evento talmente catastrofico come il Covid19 non si ha molto appetito per la storia così come veniva presentata nei libri di una volta, un po’ simili a questo, che vorrebbe riprendere il filo del discorso di un mondo occidentale in evoluzione ma chiaramente suddiviso in società aperte o chiuse; e che noi fossimo in quelle aperte oggi non è più tanto chiaro.  Inoltre non impazziamo per libri dal titolo che vorrebbero accattivare come: ‘potevi farlo anche tu’ o ‘si crede d'essere un genio’ di altri curatori alla moda,  che approfittano del mainstream per fare soldi. L’impressione è che il libro sia digeribile per l’era precovid, ma che risulti quantomeno indigesto per chi ha vissuto la pandemia come l'evento più catastrofico mai vissuto nella storia dell’umanità. Interessante e auspicabile un approfondimento dell’ultimo capitolo, in cui lo scrittore ci dice la sua sul presente, fatto di smartphone e altre diavolerie, come le 4 fiere di arte contemporanea al nord Italia in meno di 400 km, la personalizzazione delle mostre più prestigiose come la Biennale di Venezia, la ‘instagrammabilità’ (suo neologismo?) ossia la necessità/utilità di far passare immagini dai social, per poi passare all’elenco dei soliti nomi ormai stantii, e infine soffermandosi sull'idea che i linguaggi del futuro siano legati al digitale e alla multimedialità. Insomma bisogna rispolverare il gergo marxista se non vogliamo ripeterci nel dire che è tutto nella norma, oppure dobbiamo considerare questo libro come la il racconto di una classe 'dominante', cosa che proprio non ci saremmo aspettati dall'autore.

Ci vorrebbe aria nuova anche nei discorsi e nelle narrazioni: spesso leggendo ci sembra di discorrere di un mondo che non c’è più, rispetto alla sequela di nomi che l'autore porta all'attenzione, soprattutto per l'Italia. Sarebbe forse stato più coraggioso in un clima di degrado culturale, fare qualche nome in più che non sia stato così ovvio, se il tentativo è quello di scrivere  una storia dell'arte che accontentasse un pò tutti. Un dato  emerge in maniera assillante per via degli ultimi risultati d'asta: se c'è spazio per la 'scuola romana' nel libro come per tutte quelle storicizzate, forse dovrebbero essercene altro per molte altre, visto che i quadri in questione sono ormai da considerare dei documenti d'epoca ad libitum. Se da una parte questo libro è corretto, dall'altra aumenta il feticismo nel ribadire l'attuale visione della storia dell'arte supina a quella di regime, come si fa ormai con l’arte anglosassone; il tutto condito da un certo culto per gli artisti storicizzati e per le loro opere in qualche caso liberamente glorificate; senza considerare che l'autore spesso dice la sua, ad esempio considerando Guernica il quadro più importante del ‘900  o la Crocifissione di Guttuso il suo più importante quadro, condivisibili affermazioni se ‘les demoiselles d'Avignon’ o ‘i funerali di Togliatti’ non fossero mai stati dipinti.

L'eccessiva enfasi con cui si descrive la storia degli 'young british artist' ad esempio, rimarca quasi con fanatismo la fortuna altrui,  lo strapotere determinante dell’improbabile operazione finanziaria alla Hirst, considerato disastroso dai suoi stessi cronisti e nonostante ciò ospitato prossimamente alla Galleria Borghese di Roma, accanto ai maestri del rinascimento. Per fare un esempio citiamo un trafiletto tratto da Artnews di New York che titola “A Disastrous Damien Hirst Show in Venice” (Un disastroso Damien Hirst a Venezia di Andrew Russett), pubblicato in occasione dell'ultima mostra di Hirst a Venezia, in concomitanza con la Biennale: “quella di Damien Hirst a Venezia è senza dubbio una delle peggiori mostre di arte contemporanea messe in scena negli ultimi dieci anni. E 'priva di idee, esteticamente blanda, e in ultima analisi soporifera, si deve ritenere, è una sorta di realizzazione per uno spettacolo con il lavoro che ha preso dieci anni e milioni e milioni di dollari per la realizzazione”.

Se non fossimo in buona fede potremmo concludere che si tratta della storia dell'arte delle ‘élite’ dove i valori sociali e delle masse vengono considerati assenti o alternativamente presenti se non come meri consumatori, quando siamo sicuri che il pubblico rispetta l’arte ufficiale ma non ne è per nulla devoto. La censura è molto forte e la classe dominante si ritiene bella, ricca, benestante e sovraesposta: onestamente non possiamo permettere che la spartizione di argomenti culturali per il tramite  della dicotomia sovranismo-tecnocrazia, vada a cedere tutte le manifestazioni dell’arte contemporanea a un’egemonia straniera, eccezion fatta per Cattelan e Beecroft, considerati come gli unici artisti italiani, nè si può accettare una semplificazione così estrema: forse un pò di curiosità per il mondo che ci circonda manca, essendo tutto filtrato da una 'versione ufficiale' o catodica. E’ assente una grande condivisa insoddisfazione attuale che andrebbe quantomeno citata. Un libro che quindi lascia perplessi ma di cui è ineluttabile la completezza accademica, vista la quantità di artisti (vere e proprie liste) e nozioni bibliografiche presenti e che quindi consigliamo a tutti quelli che vogliono conoscere l'arte contemporanea, o così come la descrive uno dei suoi maggiori divulgatori.

  

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