12 Aprile 2021
Rustin Cohle (Matthew McConaughey) , fonte wikipedia
“Una volta qualcuno mi disse: ‘il tempo è un cerchio piatto’. Ogni cosa che abbiamo fatto o che faremo, la faremo ancora e ancora e ancora…” sostiene Rustin Cohle, protagonista della celebre serie televisiva True Detective, attingendo alle speculazioni della Teoria-M.
La visione di un tempo ciclico o dell'eterno ritorno nietzschiano non è di recente invenzione: vi si può ritrovare un sostrato viscerale e costituente della nostra società antica, messo da parte dall'idea di storia in progressione e dal principio stesso di "evoluzione".
Ma da dove nasce il paradigma del progresso? Inoltre, considerando la nostra più recente attualità, c'è ancora spazio per immaginare la storia in senso lineare?
L'età moderna conferisce alla storia un senso proprio perché essa ha una direzione, un filo logico. Eppure gli antichi per tanto tempo sono stati privi di questa particolare coscienza storica. I Greci in particolare sono stati i primi a scrivere una storia razionale; dopo Erodoto essa non è più impregnata di elementi mitici o da interventi divini: le vicende umane sono un nudo e crudo prodotto dell'uomo. Si tratta di una conquista importante che lascia però l'essere umano solo davanti a se stesso, senza dei e senza un fine sovrannaturale.
Per i Greci e i Romani la storia è per lo più un campionario di exempla il quale dovrebbe servire empiricamente da monito, seppure l'essere umano non può cambiare: egli è condannato, per lo più a causa della sua hybris, a compiere sempre gli stessi errori, scontare una condanna perpetua. Ne consegue che anche le vicende umane tendono a ripetersi sempre uguali a se stesse: è qui espressa tutta la ciclica tragicità della storia umana.
Tra le teorie più accreditare sul perché gli antichi non abbiano sviluppato il concetto di progresso ne citiamo almeno due: secondo Finley Koselleck la causa è la mancata rivoluzione industriale, per Amedeo Momigliano invece il fatto di essere privi di una religione provvidenziale.
L'impossibilità di una vera e propria rivoluzione industriale è decretata dal fatto che Atene, Sparta e Roma furono essenzialmente delle città schiaviste: l'economia si fondava sulla guerra per avere appunto ori e schiavi, una forza lavoro completamente gratuita.
La mancanza di schiavi è stato un fattore importante a determinare la caduta dell'impero romano eppure mai si pensò, come avvenne poi nel settecento con la prima rivoluzione industriale, a sostituire il lavoro dell'uomo con quello delle macchine.
Come sottolineato da Momigliano inoltre gli antichi avevano un'accettazione profonda dei limiti dell'uomo: il caso, l'imponderabile, la fortuna, il destino. Essi morivano accettando la loro condizione e finitezza.
Poi però accadde una vera rivoluzione: la cultura greco-romana collide con quella giudaico-cristiana.
L'Antico testamento non è altro che la "storia" del popolo ebraico dove l'idea di progresso è legata a un Dio provvidenziale che interviene nelle vicende umane.
Peraltro la storia per il popolo ebraico è destinata a finire, essa è effimera perché il vero mondo è quello del tempo eterno che inizia solo dopo il Giudizio Universale.
Accade però che il mondo non finisce, anzi tra le due culture si stipula un vero e proprio patto di salvezza: in questa congiuntura nasce il concetto di Progresso, il quale laicizzato e secolarizzato arriva fino a noi, tramandato da Galileo che fu il primo a dire: "abbiamo superato gli antichi".
Ma oggi questa concezione sembra davvero lontana. Per secoli è servita all'uomo per giustificare la sua egemonia, fin quando eventi epocali come la decolonizzazione, le guerre mondiali e infine lo scoppio della bomba atomica, hanno per sempre raso al suolo l'idea che la storia dell'uomo possa essere un processo di progresso e di miglioramento.
"Scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie e ciò avvelena la consapevolezza stessa del perché è divenuto impossibile oggi scrivere poesia" scriverà Adorno. "Il migliore dei mondi possibili" è un'utopia che nelle fiamme di un progresso troppo vorace ormai ha smesso di consumarsi, e la sensazione è che nessuna fenice potrà resuscitarlo.
La pandemia ha dato il colpo di grazia alla nostra idea di avvenire e di futuro: non più quella dell'euforia perpetua, ma una faticosa conquista che in molti non riescono a intravedere. La fine di un mondo plurisecolare è alle porte e potremmo renderci conto che tornare al punto di partenza sia forse l'unica alternativa rimasta.
Fonti:
Theodor Adorno, “Critica della cultura e società”, 1949, pubblicato per la prima volta nel 1951, in Prismi nel 1955
G. Angelozzi, Storia della storiografia moderna, in P. Prodi, Introduzione allo studio della Storia moderna, Bologna, il Mulino, 1999, pp. 101-154
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