31 Dicembre 2025
Il giorno della vigilia di Natale a Mondovì, come in ogni piccola città d'Europa, alle lucette ovunque ai festoni decorativi ed alle cose buone da bere e mangiare si era aggiunta la fretta di completar in ultimo i regalucci, i salutini, gli appuntamenti posticipati, gli approntamenti e gli addobbi, un poco a mo' di fine del mondo, ma lieta, un tantino ottimistica chi più chi meno, sospesa in un tempo indeterminato di tempo invernale, con la neve o meno, mentre candeline da finestra ed alberi di Natale ti guardano loro, reciprocamente desiderosi d'esser apprezzati per lo sfarzo o qualche volta, più mestamente, in una involontaria inadeguatezza fantozziana, ormai rara, perciò in qualche modo più poeticamente beffarda.
Lei pensava fosse così, il suo albero di famiglia; schifoso e malriuscito, pensava Lei. Lei, presa da un malumore reietto e solforoso, Lei, a casa in città, lontana da Mondovì, codesto luogo di meraviglie sabaude e vagamente francofone. Questa Mondovì sconosciuta e favolistica, avvolta nelle nebbie di Avalon, almeno per Lei che non sapeva bene manco dove fosse, sta Mondovì dei suoi coglioni. E soprattutto la Mondovì mentre Lui non la chiama, lontano a nord-ovest, da Mondovì.
In realtà il suo albero a casa di sua sorella è bello e splendidamente verde, con le sole lucine blu e gialle, fisse e luminosissime, e molti regali grassocci sotto e tanti ospiti in casa, amici di famiglia e spiccioli, desiderosi di spassarsela al desco della facoltosa sorella, ancora più desiderosa di dimostrare, un po' cafonamente, un certo status di un conio un po' troppo recente. Lui a Mondovì con altrettanti parenti e cugini; da una casa arcaica e sufficientemente sciccosa, prodiga di antichi richiami, calorosamente prospiciente il centro città, raggiunta da Lui direttamente da Bologna, dove la situazione è stata pesante e molto penosa, con le gramaglie del caso sospese proprio per il Natale. Ma davanti ai menu multiformi ed agli Champagne la gramaglia non trova posto a tavola, le tocca aspettare in anticamera, al massimo.
Bongré malgré, nonostante il lutto fresco di bucato nerissimo, le bottiglie alla ricca tavola di Mondovì si susseguono, come le molte portate. La notte di Natale all'inizio sembra lunga, ma non lo è. A mezzanotte si aprono i regali e ci si arriva persino fin troppo in fretta. In ogni caso prima del bunèt e del panetùn, dolci necessari in quella famiglia a trazione piemontese, la pausa sigari e sigarette consente di alzarsi da tavola per una chiacchiera in salotto, abbandonando temporaneamente la sala da pranzo.
Lui si invola in un corridoio e chiama Lei al volo, una mezz'ora abbondante prima di mezzanotte, scusandosi se mai la avesse interrotta nel cenone. Nel Nord Italia la tradizione festeggia maggiormente il pranzo del successivo giorno di Natale, ma una buona dose di osmosi con il Sud ha importato la usanza decisamente migliore di festeggiare entrambe le ricorrenze e di certo la notte di Natale è di ben più suggestiva atmosfera.
Lei risponde al secondo squillo, quasi avesse il telefono attaccato alla coscia come in effetti ha; è nervosa ma con Lui si placa e si lagna della lontananza, deposta inusitatamente la borietta spiritosella che le si confà. Quasi piangiucchia al telefono, ha il groppo in gola, non lesina un buon paio di porconi e blande blasfemie collaterali, ma sommessamente, quasi scusandosene col tono, evitando malamente di implorare di richiedere la autorizzazione a prendere il primo treno per il relativamente lontano Piemonte, bramando di sentirsi invitare colà, più di un desiderio di vincere in anticipo una lotteria di capodanno.
Eh già, il capodanno. Ancora Lei non gli ha chiesto "cosa fai per capodanno?" né lo ha chiesto Lui. E neanche "quando torni?" seppure i regali siano ancora da scambiarsi. Tanti pensieri precedenti per farsi un regalo di Natale. Bello, intelligente se possibile, non pretenzioso, neanche sbarazzino, non casuale, ecco. Il Natale, e poi il capodanno.
Già, il capodanno. Mancano pochi giorni, poche ore. Il Natale si consuma, nelle coppe Asti piene di spumantelli chiaretti e spumosi, in panettonazzi da artigiane mani, butirrosi e fulvi, in cene e pranzi a ripetizione, talvolta anche nei giorni successivi, a Santo Stefano ed oltre. Non si sfugge al Natale, neanche se sei in guerra in trincea, in montagna o nel deserto: ma anche i familiari, gli amici di osteria o i camerati possono bastare, a companatico. A capodanno invece bongré malgré se neanche un cane ti ama sei decisamente nella merda.
In definitiva: Lui non sa quando tornare e Lei non sa quando partire. Cosa fai a capodanno? O forse dovremmo dirci: cosa facciamo? E ben oltre capodanno, si ha da dirsi. Cosa facciamo? La festa, la vacanza, lo opificio, il cartone animato giappo di Lupèn terzo, la politica conto terzi, denaro, rapina, scopare, strafocarsi come in un truogolo dimentichi di tutto il resto, il saccheggio, la prostituzione, le cravatte di Marinella, i missili carissimi, le merendine al rum e cioccolato, l'onnipresente abigeato, la defecatio post prandium, il lunario dell'orfano sannita, la birra trappista, il crossfit, lo zumba, la pallanuoto e le musichine di Nicola Piovani, l'omino Bialetti, il cinema, una rivoluzione, troiaio, maialaio, rumba, olé?
Cosa facciamo, io e te?
Di Lapo Mazza Fontana
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