08 Maggio 2024
La Collezione Enrico e Antonello Falqui
La collezione di opere d’arte e arredi appartenuti al celebre critico letterario Enrico Falqui e a suo figlio Antonello Falqui, formidabile regista televisivo e direttore, tra gli altri, di programmi come Il Musichiere, Canzonissima, Studio Uno e Milleluci sarà venduta il 21,22 e 23 Maggio, presso la Casa d’Aste Arcadia. Un catalogo interamente dedicato, arricchito da un testo introduttivo di Duccio Trombadori, dove si succedono 646 lotti tra dipinti, disegni e sculture di Arte Moderna e Contemporanea, affiches e poster cinematografici e pubblicitari, lampade, mobili e oggetti di Antiquariato e Design, libri e cataloghi d’arte della biblioteca personale di Enrico ed Antonello Falqui. Tra tutti i lotti spiccano per importanza le due splendide e rarissime lampade Tiffany Studios, una da tavolo ed una da terra, i due automi del XVIII secolo, la scultura inedita di Arturo Martini (Corale, 1934) e le due raffinate incisioni di Giorgio Morandi. Assolutamente da segnalare la collezione di 37 disegni di Scipione, la più ampia collezione di opere dell’artista mai andata in vendita (tra cui Ritratto di Ungaretti, Sensazioni Olfattive dalla Quadriennale e Amici al Caffè) e la raccolta di 61 affiches e poster cinematografici e pubblicitari.
TESTO di Duccio Trombadori. L’ abitazione che fu di Antonello Falqui (1925-2019) principe dello spettacolo nella regia del varietà televisivo italiano, suggerisce a colpo d’occhio una sintetica “filosofia dell’arredamento” riassumibile nella discreta e avvincente eleganza che in essa si esprime distillando uno spontaneo e storico concentrato di cultura visiva, senso scenografico e accogliente intimità. Sarebbe perciò riduttivo rendere conto del fascino di una simile dimora circoscrivendolo alla cronaca dettagliata o all’ elenco degli arredi preziosi che ornano le pareti e gli ambienti funzionali della vita comune e individuale. Più che la sommatoria delle diverse qualità, casa Falqui persuade infatti e sorprende per l’ armonioso effetto d’ insieme che il filtro culturale di uno storico vissuto familiare deposita sulla percezione stessa del mobilio d’epoca -tavoli e trumeau, antichi cassettoni, ampi divani e poltrone- e avvalora il decoro intarsiato dei diversi sopramobili, dei libri, della ricca biblioteca, i ninnoli, le distese dei tendaggi, la luce diffusa di grandi e piccole lampade “fin de siècle”, come anche il riflesso cromatico sullo smalto dei vasi e delle angoliere che nutrono e rivestono lo spazio circostante. E’ dunque una casa “à réaction poetique” quella che reca con sé tante testimonianze grandi e piccole dell’ esperienza attraversata da una famiglia nel corso di due generazioni a confronto con i principali eventi d’arte, cultura e spettacolo avvenuti nell’ Italia del XX Secolo. La collezione di quadri, sculture, disegni e incisioni appartenuta ad Antonello, in larga parte ereditata dal padre Enrico (1901-1974) altrettanto illustre critico letterario, è infatti uno specchio prezioso e raffinato delle relazioni tra giornalismo culturale, arte e letteratura nella Roma del ‘900 a cavallo di due guerre mondiali, e dalla caduta del fascismo alla repubblica democratica. La raccolta abbraccia un percorso ideale di corrispondenze tra poesia, pittura e prosa d’arte che avvicenda in armonica consuetudine l’opera degli artisti ben aldilà delle diverse correnti, della congiuntura storica e perfino delle schematiche e contrastanti oscillazioni del gusto. A conferma dell’ apertura culturale e speciale sensibilità di Enrico Falqui nel privilegiare la qualità e l’ originalità, c’è l’ impegno preso da lui, intellettuale di formazione rondista incline alla versione moderata del ritorno all’ ordine, nel sostenere e saper riconoscere il valore dell’ amico Gino Bonichi, ovvero Scipione, titolare di quella espressione trasgressiva (prese la “vita a capofitto”, diceva) che fu d’ impulso alle nascenti esperienze della “scuola romana” oltre il freddo purismo novecentista (con Raphael, Mafai, Mazzacurati, Pirandello, Ziveri e via via tutti gli altri, presenti e non presenti nella sua personale collezione). Non a caso il corpo centrale della raccolta è costituito da circa quaranta disegni dell’ autore de “il Cardinal Decano”, eseguiti fin da quando Scipione nel 1929 iniziò ad illustrare la rivista “L’ Italia letteraria” (di cui Falqui era redattore capo) tra i quali figurano opere più volte esposte al pubblico come “La ciociara” o il “Ritratto di Ungaretti”. A questo nucleo portante di immagini che lasciano impresso il segno poetico, febbricitante e incisivo di Scipione, fanno eco le venti acqueforti di Luigi Bartolini, altro solitario, beffardo e irrequieto artista, marchigiano come lui: strapaesano e polemista, scrittore e magnifico incisore a reazione poetica, di cui il famoso “Martin Pescatore” fa onore alle selettive preferenze di Enrico Falqui, per l’ intelligente uso editoriale che fece degli artisti prediletti, chiamandoli ad illustrare testi e copertine di libri e riviste, come fu in principio per l’ editore Carabba (con i libri di Barilli, Cardarelli e Montale) e proseguì in riviste come “Circoli” di Adriano Grande, “Quadrivio” di Interlandi, fino all’ ermetica e proto-antifascista “Corrente” di Ernesto Treccani (e dopo la guerra con “Risorgimento Liberale”, la rinata “Fiera letteraria” e “Il Tempo” di Angiolillo). Ma nel quindicennio 1929-1944, con i profondi mutamenti che accompagnarono l’ascesa e la caduta del fascismo, lo spirito eclettico e percettivo di Falqui dette il meglio di sé con una informazione culturale al di sopra della congiuntura di regime e non aggiogata alla ragion di Stato. Nacquero di qui esperienze di collaborazione con le macchiette satiriche e irriverenti di Maccari e Longanesi ( tra “Il Selvaggio”, “l’Italiano” e “Omnibus”) e lo scambio reciproco di cortesie illustrative: nella collezione si avvicendano testimonianze della “prima scuola romana” (amici rondisti e frequentatori del caffè Aragno, da Leonetta Cecchi Pieraccini a Bartoli, da Ceracchini a Bertoletti) assieme a calibrate incisioni di Morandi, disegnini soffiati di De Pisis e con loro aleggiante, nell’ aura condivisa dei “Valori Plastici”, anche il pictor optimus Giorgio De Chirico. Già impregnata di sentiti richiami morali e motivi umanistici, per affinità di idee con G.B. Angioletti, la prensile cultura di Falqui trovò una sponda influente anche nell’ irrequieto e ribelle Curzio Malaparte, che rispondeva all’ insofferenza delle nuove leve artistiche e intellettuali. Correva il tempo fosco dell’ entrata in guerra, tra il ’40 e il ’42, quando Enrico Falqui e il poeta Libero De Libero (che aveva diretto la galleria della Cometa, centro propulsivo del rinnovamento artistico) pubblicarono i tre almanacchi di “Beltempo”, straordinario centone che associò più artisti, poeti e scrittori in nome dell’ auspicata solidarietà di valori umani sopra le brucianti lacerazioni tra le nazioni europee (“…il mondo certo non sembra il più propizio - scriveva Falqui nel 1941- ad occuparsi del bel tempo nella pittura e nella poesia. Ma chi si augurerebbe che la civiltà scomparisse perché i popoli sono in guerra…?”) Particolarmente brillante, nella grafica editoriale di “Beltempo” si precisò il gusto del critico letterario, vicino all’ amico pittore e critico d’arte Virgilio Guzzi (disegni di lui e di sua moglie, la pittrice Giuliana Bergami, sono presenti in collezione) nella scelta dell’ emergente arte italiana per illustrare i testi. In una spettacolosa passerella, accanto a maestri acclamati (Carrà, Severini, Soffici, Martini) ricorrono i nomi di Manzù, Tamburi, Fazzini, Guttuso, Scialoja, Gentilini, Cantatore, Afro, Mirco ed altri autori dall’ animo innovatore, tutti o quasi chiamati anche a collaborare sulle pagine di “Primato”, la rivista coeva lanciata dall’ inquieto gerarca Giuseppe Bottai che predicava “il coraggio della concordia” nel suo ultimo e disperato tentativo di suturare il divario crescente di cultura e fascismo, prima della catastrofe che lo travolse. Negli anni del secondo dopoguerra, Enrico Falqui diradò la concomitanza avuta con la situazione artistica italiana se non per coltivare inclinazioni di gusto: come per Carlo Quaglia, elegante colorista “scipionesco”; Giovanni Stradone, dal trepidante segno “fuori strada”; Alberto Manfredi, incisore sulle tracce di Morandi; e Raffaello Salimbeni, dal tratteggio vibratile e plastico. Giunto a conclusione del suo percorso storico, il denso e avvincente panorama d’ arte italiana del ‘900 esibisce anche un significativo corpo di disegni e pitture dovuti alla mano creativa di Renzo Vespignani, Bruno Caruso, Pasquale Verrusio, e Francesco Tomei, tutti esponenti a vario titolo della “nuova figurazione” che calcò con successo la scena romana a partire dagli anni ’60 in gallerie come “La Nuova Pesa”, “il Fante di Spade” e “il Gabbiano”. Ad incrementare la raccolta Falqui di questa nobile tendenza figurativa, che aggiornò la poetica realista con indagini sull’ emergente “civiltà dei consumi”, è infine ragionevole e più che verosimile pensare non sia stato l’ occhio di Enrico, bensì quello successivo del figlio Antonello, per la nota amicizia e prossimità di gusto che lo legò a mio padre Antonello Trombadori, già direttore de “La Nuova Pesa”, e a Netta Vespignani, animatrice de “Il Fante di Spade”, nonché straordinaria promotrice, negli anni ’80 , del rinato interesse per la sommersa e rigogliosa miniera artistica della “scuola romana”.
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