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"La libertà innanzi tutto e sopra tutto"
Benedetto Croce «Il Giornale d'Italia» (10 agosto 1943)

Celebrando Wanna Marchi, maschera tragica di una Italia che non cambia mai

Fioccano i documentari, le ospitate televisive, i libri: tutto all'insegna della “verità”. Ma che altro resta da scoprire su una truffatrice che ha scontato 10 anni? L'unica verità è che gli italiani si identificano in una così, le credono come hanno creduto a Speranza e come crederanno al prossimo.

12 Ottobre 2022

La teleimbonitrice Wanna Marchi

Ci si chiede il motivo di questo Wanna Marchi revival e la spiegazione è semplicissima: perché il paese non cambia, seppellisce i suoi regimi ma dura uguale, peggiora soltanto e i creativi dei media lo sanno bene. I numeri della magia, già assurdi, sono esplosi sotto lockdown: un italiano su cinque, all'incirca 13 milioni, dipendente da fattucchiere e cartomanti per un giro di 8,5 miliardi l'anno secondo il Codacons. Ma, considerato che la magia non fattura, se no che occultismo sarebbe, rischiano di essere il doppio o il triplo. Così che si spiega il grido di guerra della vecchia mascalzona incorreggibile: “I coglioni si inculano!”. I drogati della ruota della fortuna sghignazzano di denti marci: brava Wanna hai ragione e se ci hai fregati due volte, prima di persona poi con le evasioni miliardarie, ci hai vendicati tutti. Poi che tra i coglioni inculati si ritrovino loro per primi, non li sfiora. Questa Wanna Marchi con figlia Stefania è una megalomane: parla di sé in terza persona, “la mia vita è sempre stata uno spettacolo, sotto le telecamere”. “Vi pare giusto che Wanna Marchi debba vivere con 600 euro al mese? Eeeh?”. Due scappate da Castel Guelfo, dalla miseria anonima, disposte a tutto pur di non tornare a truccare i cadaveri, a costo di finire in galera e difatti ci sono finite, secondo quel giocarsi tutto che è tipico delle personalità devianti: fin che dura va alla alla grande, poi, se è il caso, si paga. Difatti si son prese quasi 10 anni, roba da grandi criminali, ma alla fine eccole immutabili, incartapecorite, rifatte in modo anche inquietante, ma indomite: “I coglioni si inculano!”.

Come a dire: la prateria è sempre lì, identica e pronta da cavalcare. Oggi più che mai. Gli italiani sono una razza curiosa: non credono a niente ma obbediscono a tutto, anche a un ministro palesemente squilibrato che li obbliga a bere il caffè ma solo in piedi, a non comperare un paio di mutande su uno scaffale mentre possono acquistare le canottiere dello scaffale vicino, li costringe a indossare un lacerto di stoffa verde, tossica, cinese, con cui rantolano estate e inverno e gli dice che devono stare chiusi non per motivi salutisti ma perché c'è da “rifare la società secondo un nuovo gramscismo”. Gli italiani non capiscono ma eseguono e ieri ha detto un industriale a un programma televisivo: “Abbiamo detto troppi sì e troppo a lungo”. E adesso gli tocca chiudere perché milioni di euro di bollette non li regge neanche Bezos, quello di Amazon. E allora, essendo “coglioni da inculare”, perché gli italiani non dovrebbero tornare a fidarsi di Wanna Marchi? A 80 anni, se la contendono: il documentario agiografico, non giriamoci intorno, su Netflix, le ospitate da Giletti che si fa allegramente insolentire insieme a Telese, quello che assomiglia a Poldo Sbaffini: “Lei Telese ha bisogno di uno scioglipancia, d'acòrdo?”. Queste Marchi vendevano di tutto, alghe marcite, pezzi di sale, “perfino peli di figa”, si vantano; perché, non si fa? C'è qualcosa che non va? Ma se la stessa Chiesa non rinuncia alle guittate come il sangue secco di San Gennaro, un santo mai esistito, che si scioglie nelle mani del cardinal vampiro con magno gaudio dei fedeli e dei politici. Il clero bergogliano ha obbligato i fedeli alle Messe in apnea, e ancora adesso che il gioco è franato molti preti non rinunciano al rito della mascherina che ha dello scaramantico. Benedetto Croce diceva “la gran fabbrica del vuoto”, per dire i parolai nella politica come nella cultura, tuonava contro “i moti sentimentali più che le idee chiare e distinte”, poi coniò una formula non a caso imperitura per sistemare le cose: “Il malocchio non esiste ma bisogna farci i conti”. Che è un modo italico di per salvare ragione e sentimento. Croce aveva fondato il cerchiobottismo esoterico, la politica possibilista persino nelle cose che non si vedono, che non ci sono. A intervistarli, gli italiani, non se ne trova uno che creda al malocchio: tutti più illuministi di Voltaire, ma allora dove stanno quei 13 milioni di babbioni, quasi uno su 4, che vanno dal mago per qualunque cosa e particolarmente per far del male al rivale, al collega, all’ex amante, al vicino di pianerottolo? “A, ue, uì, la fortuna non va lì”, come Fantozzi al casinò.

Gli italiani si dicono in larga parte credenti, ma è una fede magica, medievale: al santo chiedono non la pace dello spirito ma di azzeccare i numeri, chiedono la Cabala, a Wanna Marchi chiedevano la luna, possibilmente fuorilegge e io ricordo il fatalismo cinico di quel giudice che mi era amico e mi passava le dritte: “Caro Del Papa il diritto è come la pelle dei coglioni, va dove lo tiri”. Non è una frase che potrebbe aver coniato tranquillamente Wanna Marchi?

“Campo con 600 euro di pensione al mese”, e poi piange, ma secondo le accuse la imbonitrice di Castel Guelfo si è intascata una trentina di milioni dichiarati che potrebbero essere perfino il doppio: dirottati, c'è chi sospetta, in Albania, dove, vedi caso, le due hanno spostato la sede dei loro affari una volta finita di scontare la galera. Wanna è ormai cartoonizzata, una maschera carognesca ma divertente, che non suscita più indignazione se mai complicità: aveva messo insieme un impero a forza di truffe e maledizioni, ma con gli spazi, i tempi per farlo. E non tutte le vittime potevano essere degli sventurati, già prostrati dal destino come quella poveretta che, con un figlio tossicomane e problemi di salute, per rimediare ai continui debiti col “mago” Nascimento s’era costretta al marciapiede. Un personaggio di cui si sapevano le ignominie, ma che fino all’incursione mediatica di Striscia non scandalizzava nessuno, anzi la chiamavano tutti, Costanzo come Baudo. Una simpatica ciarlatana che macinava miliardi, che ce l’aveva fatta grazie alle tv, sulla pelle dei gonzi. Una verace maschera italiana. Antonio Ricci, prima di distruggerla, l’aveva fatta recitare in un suo programma, una riedizione dei Promessi Sposi in cui impersonava se stessa: “Fate schifo! D’acòrdoooo?”.

Gli italiani la pagavano per farsi insultare e oggi la riscoprono, la celebrano. Fioccano le agiografie, i “documentari verità”, ma una cosa rimane misteriosa: come si spiega che per stroncare una denunciata in 20 procure d’Italia ci sia voluto un pupazzo rosso che parla con accento ligure. Dov’erano i giudici fino all’inchiesta di Striscia, dove i giornalisti d’inchiesta? Dopo di lei, siccome in Italia non succede niente per anni e poi piomba tutto insieme,è toccato a un’altra megera, la Mamma Ebe che stordiva i malati con droghe e preghiere, ed era già stata arrestata e condannata a 6 anni nel 1986 per le stesse nefandezze. E aveva potuto ricostruire indisturbata il suo impero sinistro e miserabile, con tanto di villa con statue di padre Pio e Gesù Cristo all’ingresso. Ah, perdio! E così si permette a Ezio Greggio, comico con domicilio fiscale a Montecarlo dove nessuno l’ha mai visto, di far la figura dell’eroe. Ma questo ed altro da un Paese che al Governo cambia le facce ma spedisce quasi sempre Wanna Marchi.

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