06 Luglio 2022
C’è chi, da omosessuale, non va al Pride perché si vergogna di trovarsi accanto dei pagliacci esibizionisti, c’è chi va per mostrare solidarietà a gente per anni umiliata ma lo fa con basso profilo, pensando di trovare sostanza invece trova solo apparenza, tra uomini truccati da donna, cartelli contro Matteo Salvini e Giorgia Meloni, catene, baci con slinguazzamenti annessi, musica a tutto volume, gente obesa che si massaggia la pancia, uomini magrissimi in tacchi a spillo, donne con slogan tipo “la do a chi mi pare ma è sempre meglio di essere etero”, e altre situazioni del genere di cui un normalissimo gay si vergogna non poco.
Il Gay Pride ormai è una pagliacciata alla mercè delle associazioni di sinistra, dei locali da ballo e della politica più becera e politicamente corretta. Non c’è una parola sulla discriminazione poiché lo spettacolo viene prima dei concetti, l’apparire è meglio dell’essere, la trasgressione volgare è meglio della normalità, i carrozzoni con fumi colorati e uomini vestiti da donna (e viceversa) sono il mood della manifestazione, e s’innalzano a valori la famiglia omosex (vero, la famiglia è dove c’è amore ma di certo un figlio non lo puoi fare e comprarlo in provetta è schifosamente aberrante) e la liberalizzazione delle droghe. Tutto questo non fa solo accapponare le palle alle famiglie e agli etero, che prendono ancora di più le distanze da questa pagliacciata, ma infastidiscono parecchio i gay che vivono la loro sessualità in maniera normalissima e che a vedere queste cose si vergognano non poco. Il Gay Pride è quindi sempre più una chiusura, una ghettizzazione, dove gli omosessuali (la parte più marcia) se la canta e se la suona.
È oggettivo che certe situazioni allontanino l’opinione pubblica dall’argomento “omosessualità” poiché, se rappresentata in quel mondo, rischia di far fare cento passi indietro piuttosto che uno avanti.
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