31 Dicembre 2025
"C'è un crimine, fra tutti quelli commessi dal sionismo, sul quale non si riflette troppo. È la distruzione dell'ordine del senso del discorso". Ovvero, strumentalizzare e ideologizzare il concetto di "vittimismo" tirandolo fino agli estremi pur di imporre una lettura alterata della realtà da cui risulti che chi ha potere di parola (Israele) sia la "vittima" in un mondo di "terroristi".
A dircelo in un monologo denso di emozione e critica al tempo stesso è lo scrittore, attore e cantautore Salomone 'Moni' Ovadia, intervenuto nella trasmissione televisiva Le Iene in una puntata dello scorso 5 Ottobre. L'artista italo-bulgaro ha contestualizzato le violenze israeliane "sioniste" non solo da un punto di vista fattuale e "fisico" - "occupazione, colonizzazione di insediamento, furto di risorse, violenze di ogni sorta fino al genocidio" -, ma propriamente linguistico-semantico.
Il sionismo, denuncia Ovadia, può vantare "dell'esercito più forte del Medio Oriente, e uno dei più forti del mondo. Distrugge in maniera terrificante", eppure "fanno sempre le vittime". La strategia meta-discorsiva è chiara: invertire i punti di vista in modo da appalesarsi come gli oppressi in un mondo fatto di "terroristi". "Mentre il primo vero terrorista sono loro". La stessa parola "antisemitismo" diventa allora un'arma ideologica potente: "ne usano l'accusa contro chiunque osi criticare lo Stato di Israele". Nonostante, com'è noto, "antisemitismo" non abbia nulla a che vedere con la legittima critica del libero pensiero contro uno Stato che sistematicamente uccide con l'intenzione palese di fare pulizia etnica.
Conclude Ovadia con una battuta finale: "Il sionista si comporta come quel giovanotto che, dopo aver ucciso padre e madre, colto in flagrante e arrestato, dica al giudice: 'Non mi condanni, a mia discolpa ho il fatto di essere un povero orfano'".
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