23 Novembre 2025
Se confrontiamo un film italiano sul tennis, "Challengers" di Guadagnino, con questo film di Andrea Di Stefano, non c'è storia: e non solo per la solida e inscussa bravura di un Favino a cui tutti siamo affezionati. Si tratta di molto altro: Challengers è un film tecnico, vuoto, autoreferenziale, artificiale in quanto segue una trama a tavolino che imita freddamente i modelli americani più stereotipati; mentre questo film italiano è un "film d'anima"che tocca corde profonde in quanto declina quel modello paterno-maschile di cui l'Italia ha bisogno per attivare di nuovo processi d'interiorizzazione e di poetizzazione contro il dilagante ma stanco manierismo di massa. L'archetipo di questo film è italianissimo: "In viaggio con papà" con Alberto Sordi e Carlo Verdone; quì però declinato in senso spirituale, interiore, più maturo. Un viaggio filmico nel viaggio esistenziale dove si forma progressivamente un circolo affettivo fra le crisi del "maestro" e le crisi dell'allievo. Aveva ragione Tommaso Landolfi: per fare letteratura bisogna fare altro mentre si fa letteratura e così questo film realizza questo piccolo segreto estetico parlando di tutt'altro mentre parla apparentemente solo di tennis. Sport-arte perfetta per i test esistenziali per il suo spietato e matematico agonismo. Dopotutto lo aveva già capito ed espresso Paolo Conte: "il maestro è nell'anima, e nell'anima per sempre resterà". Un film magistrale dove Favino ci insegna molto, sia sul cinema che sulla vita.
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