25 Agosto 2025
Maestro di estetica e di potenza visiva filmica Paolo Sorrentino non riesce questa volta, neppure sfiorandolo, a sfornare un altro gioiello che riuscì con il decadentistico ma delizioso caso de' "La Grande Bellezza". Per le opere e i registi importanti la recensione è opportuno avvenga a mesi di distanza, dopo e non prima i riconoscimenti ottenuti, pur ragionevoli (Pellicola d'oro, Premio Guglielmo Biraghi, Nastri d'argento e altri) ma non abbastanza come non è bastata la bellezza, il fascino e l'indubbia bravura attoriale della protagonista Celeste Dalla Porta (molto sensuale) a reggere i vuoti e le debolezze di un'opera piena di retorica e di narcisismo autoriale dove le assenze e le lentezze sono riempite da collage di scene visive eleganti e potenti tipo videoclip musicali o da pubblicità tipo "Dolce e Gabbana". Divertente l'ironia di alludere nelle vaghe vicende accennate nel film a personaggi celebri come l'armatore e sindaco napoletano Achille Lauro, Gianni Agnelli e Sophia Loren (tutte macchiette sia chiaro) come azzeccati sono i carismi sirenici allusi (il silenzio, il senso del mistero, l'oracolarità, il carattere indipendente e sfuggente, l'idolatricità) ma tutto ciò non basta a compensare il senso di inconcludenza e dispersività del discorrere narrativo dell'opera. Nessuna evoluzione dei personaggi, nessun punto di svolta, nessuna reale tensione. Interessanti alcuni accenni esoterici come il rinviare a Raimondo di Sangro, principe di Sansevero, alchimista, illuminista e massone; la citazione del velo rosso di Ino (dettaglio mitografico e ninfico misterico) e la scena dell'intronizzazione di Parthenope quale dea in una situazione da magia sessuale nella letteralizzazione dell'eros che "scioglie il sangue" (solve et coagula?). Un film comunque sub-felliniano e non trans-felliniano. Non si avverte alcun effetto di trasfigurazione nè di metaforizzazione incisiva. Un altro fattore poi risulta irritantte: Sorrentino è amato dal cinema Usa perchè mostra gli italiani come gli americani vogliono ancora vederci, cioè in senso "neo-realista" fuori tempo massimo: sudditi pittoreschi, macchiette folkloristiche, surreali, grotteschi e patetici. Insopportabile! Una iper-recita che nessun italiano di buon gusto può apprezzare. Il trionfo del luogo-comunismo. La stessa Italia finta e di cartapesta colorata che compare nella mediocre novella di D'Annunzio: "Il santo" (Le novelle della Pescara). Per tutto il film si chiede alla sirena Parthenope: a cosa pensi? E lei non risponde. E chissene frega, lo diciamo o no? Un film che si regge sul narcisismo finto-intellettuale di un regista che si crede filosofo perchè dice di pensare sempre alla morte. Il vuoto verniciato di immagini smaltanti. Alla fine il valore cardine di questa mezza-sirena di poco successo esistenziale risulta come sempre l'indifferenza, il valore cardinale del post-moderno italiano di massa. Un'indifferenza sterile mascherata da finto mistero. Si chiede troppo allo spettatore: di faticare a riempire con la propria fantasia quello che il film stesso dovrebbe donargli. Oggi è molto difficile fare un film sull'immaginario sirenico come sarebbe difficile fare un film sul carnevale nei suoi sensi profondi. La ragione è molto semplice: vivendo quotidianamente immersi in un blob di finte sirene e di finti carnevali o si possiede nel profondo la materia mitografica (che in gran parte è ineffabile e non rappresentabile) oppure si scivola facilmente nel "già visto" e nel banale. Come riuscire ancora a stupire dentro la tirannia di massa dell' "effettismo" epidermico? Anche come documento antropologico questo film resta sulla superficie televisiva di un corpo sociale esausto. E non poteva mancare il freak finale (letterale, circense) dopo una noiosa sequela di freak esistenziali per tutto il film. Povera Napoli che deve sopportare ancora una volta un'ennesimo inutile esercizio di retorica sulla "Napoli che si ama e si odia" da cartolina e con la scontata riconciliazione finale del pulmann dei festeggiamenti dello scudetto della squadra partenopea! Poche idee e anche povere...Ormai anche l'eros ha bisogno di strofinarsi sulle reliquie di San Gennaro in attesa di un miracolo di espressione artistica che tarda a ricomparire e ci lascia delusi e vuoti.
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