17 Maggio 2025
Primo merito di questo film triangolare tra Umberto Contarello (regista, sceneggiatore e protagonista), Paolo Sorrentino (produttore e co-sceneggiatore) e Carlo Mazzacurati (Musa e Sirena): una nuova Roma, che sembra Venezia e Milano. Finalmente quindi una Roma in bianco e nero, silente, vuota, essenzializzata e liberata dall'ormai insopportabile cadenza finto-romanesca (non se ne può più). Impresa non facile: rinnnovare l'immaginario di una città come Roma. Una piazza Navona irriconoscibile e vivibile, luogo della mente e un Tevere che sembra il Po, stupendo. Molto efficace anche il frequente e liquido scambio fra esperienze visionarie e mentali e situazioni empiriche, fisiche. Bello e non stucchevole pure l'omaggio a Fellini (e forse anche a Silvano Agosti) nel riprendere il fascino dell'estetica suoresca. Si, un film che ricorda l'interiorità poetica e senza kronos dell'opera di Silvano Agosti. Una versione minimal della "Grande Bellezza" dove Roma però non è più la scenografia di un never-ending party decadente e fine a se stesso ma una costellazione politeista che favorisce la contemplazione e l'emergere di incontri speculari. "Contemplazione" è la parola chiave per quest'opera dove il volto non bello ma autentico e credibile del protagonista e il suo piacevole accento veneto (era ora...in Italia esiste anche il Veneto, grazie!) regge con disinvoltura elegante e filosofico acume il senso dell'inesorabile franare del tempo proprio di ogni meditazione assorta e vuota. Un film che sembra una vanitas pittorica, libero però da ogni istanza di rappresentazione e di riconoscimento come da ogni eccesso di estetismo. Alla fine di una narrazione intensa e aggraziata quanto non decorsiva resta la lezione profonda di Eraclito: Aiòn è un fanciullo che gioca. Ecco il senso dell'infinità percepita nell'attimo totale del perdersi nel gioco. L'opera si conclude mostrando in visione ludica dall'alto il segno matematico del concetto di infinito, sulla neve a Piazza Navona. L'anima filosofico-malinconica di Sorrentino si evolve ulterioremente oltre ogni aspettativa di stilema rinnovamento i propri carismi essenziali e facendosi ora sussurrante piccola grazia gestuale tiepolesca. Dimostrazione in fieri di come una grande opera può giocare carte semplici. Le note sono sempre sette.
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