Rings of Power, recensione della prima stagione. Cosa ha funzionato, cosa no
Una serie che ha fatto discutere moltissimo, specialmente tra gli appassionati: vediamo assieme gli elementi di fascino della serie e quelli (tanti) che non ci sono proprio andati giù
Un miliardo di budget per la serie più costosa mai realizzata: stiamo parlando di The Rings of Power, prodotto targato Amazon che ha cercato di mettersi al pari della leggendaria trilogia del Signore degli Anelli, con risultati misti che hanno fatto molto discutere. A favore, una cinematografia spaziale con ambienti spettacolari curati nel minimo dettaglio; contro, una libertà davvero eccessiva rispetto al testo originale, spesso con esiti trash e stridenti con il fascino antico delle opere di Tolkien. Vediamo assieme cos'è andato bene e cosa no. Infine daremo una voto: occhio agli spoiler.
"The Rings of Power? Bello, non c'entra niente con Tolkien"
Punto della situazione: la prima stagione si conclude dunque lasciando intravedere i futuri sviluppi di trama: lo Straniero si rivela essere uno stregone (Gandalf, senza dubbio ormai) e partirà per le lontane regioni orientali di Rhun con l'hobbit Nori; è rivelata la vera identità di Sauron, il che forse è stato l'elemento più intrigante della storia fino ad adesso; gli anelli del potere che danno il nome alla serie vengono infine forgiati.
Punti a favore
Iniziamo con le buone notizie, che fanno sempre bene al cuore:
Visualmente spettacolare: il miliardo investito da Amazon si vede tutto. Paesaggi immensi, città mastodontiche, effetti speciali di alto livello. Anche solo a guardarla senza volume, Rings of Power ci trasporta nella Terra di Mezzo. Il maggiore merito della serie è forse proprio quello di dare vita alle location che il Signore degli Anelli aveva lasciato da parte: la roccaforte nanica di Khazad-dûm, nei suoi giorni di gloria prima di diventare il lugubre labirinto di Moria; la magia del regno elfico di Lindon, in tutta la stupefacente bellezza dei paesaggi. Ma è soprattutto Numenor a meritare le lodi: il regno degli Uomini nell'apice della gloria è raffigurato come una opulenta capitale bizantina, dalle forti venature mediterranee. Peccato per come andrà a finire...
I costumi: la cura che aveva animato la trilogia originale si vede anche qui: abiti elfici bellissimi, con magnifiche broccature in oro; armature progettate con stile; maschere naniche oroginale. Non mancano zone di ombra, come le armature dei cavalieri di Numenor, chiaramente finte; ma nel complesso, l'immaginario è fantasioso e immersivo.
Il casting: non si può negare che gli attori siano stati scelti con cura. Lloyd Owen è un Elendil perfetto: non si può dubitare che sarà il progenitore della stirpe da cui nascerà Aragorn. Benjamin Walker, a sua volta, ha tutti i tratti maestosi dell'Alto Re degli elfi Gil-Galad. Persino Morfydd Clark, il cui personaggio ha subito critiche a iosa, ci convince nel suo aspetto "elfico". Insomma, la maggior parte dei casting sono stati scelti con classe, e gli attori hanno dato in generale buone prove.
Il totosauron: la serie, come vedremo, non brilla per velocità. Però su una cosa è riuscita a intrigare gli spettatori: chi è Sauron? L'arcicattivo del Signore degli Anelli è richiamato in mille modi, ma non appare fino alla fine. Gli autori dello show sono stati abilissimi nel disseminare indizi su chi potesse essere il Signore Oscuro, causando un dibattito anche acceso tra i fan e dando adito alle speculazioni. Nell'ultima puntata, addirittura lo Straniero viene rivelato essere Sauron, salvo ritrattare il tutto... quando la rivelazione arriva, il colpo di scena è autentico, anche se i più acuti lo aveva già previsto.
Alcune invenzioni funzionano: benché la scarsa fedeltà sia stato oggetto di critiche, alcune aggiunte sono efficaci: ad esempio il personaggio di Adar, il "primo orco", l'anello di congiunzione tra i leggiadri elfi e la orrenda stirpe degli uruk. Adar, che ama la sua progenie come un padre e vuole solo dare loro una casa, dà un sguardo nuovo sui "cattivi" e le loro ragioni.
Cosa è andato male...
Eccessiva libertà rispetto al testo: tradurre è tradire, e siamo ben coscienti che la trasposizione su medium diversi richieda di prendere scelte diverse dalla fonte originale. Ma quando lo si fa con un autore del calibro di Tolkien, c'è il rischio concreto di corromperne il fascino. Alcune scelte sono state francamente incomprensibili, attirando l'ira degli appassionati: in particolare, la storia del mithril, la cui nascita è attribuita a un "combattimento tra un balrog e un guerriero elfico con in mezzo un silmaril colpito da un fulmine" suona decisamente come una tamarrata; così come lo è affermare che senza di esso gli elfi perdano l'immortalità. Il punto è che lo show è costretto a comprimere vicende che Tolkien dispiegava nei millenni nel giro di poche settimane; la parabola morale di Numenor, che nasce come riflessione filosofica sulla mortalità, viene ridotta a una questione materialistica di concorrenza sleale sul lavoro. L'odio degli uomini per gli elfi non è dunque spiegato dall'invidia per l'immortalità, né vediamo le grandi tombe con cui i Numenoreani speravano di eludere per sempre il passare del tempo. Si può dire, in generale, che The Ring of Powers sia forse l'adattamento meno fedele della storia, e gli esiti in certi casi sono veramente patetici.
Galadriel... : la protagonista non ha certamente il fascino della strega di Lothlorien che vediamo nella Terza Era; è una guerriera adolescenziale e tormentata, priva di assennatezza, il cui maggiore pregio sembra essere la capacità di menare come un fabbro. Se alcuni personaggi col tempo cominciano a funzionare, Galadriel rimane una protagonista estremamente difficile da amare, e questo condiziona il godimento dello show in generale.
Ritmo lento...lentissimo: nonostante il respiro da Colossal, nello show per la maggior parte del tempo succede poco o niente. Alcune linee narrative aggiungono poco alla storia, e in generale sembra che moltissimo, costosissimo screentime sia sprecato per sequenze veramente poco interessanti. L'unico episodio a non soffrire di questa generica mancanza di eventfulness è il sesto, oltre al finale, che come vedremo ha problemi tutti suoi. In generale, un problema intrinseco della serie è il suo mancare sia della frenesia tipica dei prodotti di intrattenimento, che della profondità artistica che servirebbe a fare un capolavoro.
Dialoghi cringe: una larga parte della critica precedente può essere spiegata proprio attraverso i lunghi e continui dialoghi, francamente non sostenuti da una scrittura adeguata. La trilogia originale aveva pochi dialoghi, molto significativi, il cui tono "epico" eppure intimistico e vagamente filosofico viene continuamente imitato. Raramente con successo: non ci sono espressioni memorabili, non ci sono frasi che resteranno nei ricordi degli spettatori. Vediamo invece continue riflessioni morali, di natura molto generica, che non portano da nessuna parte.
Inconsistenze: non vogliamo essere pedanti, ma alcune disattenzioni sono gravi e segno di una scrittura piena di incuria. Le distanze non hanno alcun senso: nel settimo episodio, Galadriel cavalca con Halbrand, gravemente ferito e bisognoso di "medicina elfica"; i due vanno da Mordor fino all'Eregion, un viaggio che attraversa mezzo continente. La cavalleria di Numenor, nel sesto episodio, percorre il larghissimo tratto dalla costa al cuore di Mordor nel giro di una mattinata, capitando per caso proprio nel villaggio dove sta avvenendo la battaglia. Halbrand suggerisce a Celebrimbor di fondere lo scarso mithril con una lega di altri metalli, cosa che al migliore fabbro elfico della storia sarebbe dovuto venire in mente immediatamente. Alla lunga, questo genere di disattenzioni rovinano l'esperienza.
Il finale: dopo intere puntate passate a seguire le poco interessanti vicende delle southlands, o noiose questioni pelopiedi, la forgiatura degli anelli, culmine drammatico della vicenda, avviene con una rapidità incredibile. Nel testo di Tolkien, Sauron influenza la loro forgiatura travestendosi da Annatar, una sorta messo divino, e insegna ai fabbri elfici tecniche straordinarie corrompendo nel frattempo la loro opera; per un processo che dura quasi 90 anni. Nella serie, Halbrand si limita a dare qualche consiglio banale a Celebrimbor, e la forgiatura degli anelli degli uomini e dei nani non viene neanche mostrata. Un ulteriore dimostrazione del cattivo uso del tempo scenico.
Il giudizio finale:
Insomma, vediamo che pur con elementi di pregio, riteniamo che la serie abbia fatto un cattivo uso del proprio potenziale: "you don't mess with sacred cows", dice il proverbio, è l'opera di Tolkien è tra le vacche più sacre che esistano. Il problema non riguarda tanto il cuore, quanto la testa: si percepisce l'intenzione di rendere onore al legendarium tolkieniano, ma alcune scelte risultano semplicemente incomprensibili. Pesa tanto anche l'impostazione commerciale e il fatto, imperdonabile, che il prodotto finale si configuri più come una fanfiction che come un adattamento vero e proprio.
Il nostro giustizio, dunque, e sperando che le prossime stagioni facciano meglio, è un poco onorevole:
5-
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