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Il prelievo di 5 miliardi € alle banche annunciato da Giorgia Meloni è poca roba; e comunque non faranno nemmeno quello

“Chiediamo alle banche di dare il loro contributo”, dice il governo con parole ovattate. Come se subisse una specie di sudditanza psicologica. Che infatti subisce, perché le banche detengono buona parte del debito pubblico italiano e quindi quel bottino di 5 miliardi scenderà

28 Ottobre 2025

Giorgia Meloni

Giorgia Meloni (fonte LaPresse)

Chiesti 5 miliardi su 44 di profitti”, ha commentato Giorgia Meloni evidentemente pressata da un Salvini che spera di aver trovato un nuovo vento dove indirizzare la sua vela sgangherata.

Insomma, in una fase storica dove le sperequazioni sono evidenti cosa fa il governo? Pressa la mano sulle banche. Come diceva Mario Brega nel film di Verdone? “Questa mano po esse piuma o po esse fero”; ecco, il governo ci vuole far credere che sarà piuma con i cittadini più in difficoltà e sarà ferro con quel mondo del credito mai troppo simpatico. Ma davvero le cose stanno così?

Mettiamo in fila alcune cosette, partendo proprio dalla frase che dovrebbe suonare severa e di monito: vi chiediamo 5 miliardi su 44 di profitti. Questa frase, in proporzione, la calassimo nel mondo delle imprese, non ci sarebbe alcun imprenditore che si opporrebbe a un vantaggio fiscale così plastico. Nei capannoni il coro unanime che si alza è piuttosto un altro: “Per metà anno lavoriamo per conto del nostro socio occulto che è lo Stato”. È così, e penso anche che le banche non possano dire di sentire il fiato sul collo come accade nel mondo della micro e della piccola impresa. Anzi, negli ultimi decenni il mondo finanziario ha giocato sugli stessi tavoli della politica e delle istituzioni sedendosi assai spesso addirittura a capotavola. Di sicuro è accaduto in Europa dove il centrosinistra italiano - motivo per cui dovrebbe stare zitto - ha lavorato per accoppiare le regole dei trattati con i migliori meccanismi utili proprio alla finanza (il Mes è un esempio), la quale sta indebitando gli Stati creando le “soluzioni a debito” a quelle crisi che a conti fatti hanno fatto ricchissimi i ricchi, povero il ceto medio e poverissimi i poveri. Lo certificano i numeri.

Insomma le banche vincono sempre e vincono facile. Chi perde è appunto il ceto medio delle pmi e quella borghesia nata nelle fabbriche nonostante le difficoltà create dalla burocrazia nazionale e quella europea, o dalle banche (che fino a una ventina di anni fa “giocava” in combinazione con i cumenda), o da distorsioni mai sanate come la debolezza del creditore rispetto al debitore (che può essere lo Stato stesso).

Sostenere che la mano diventa ferro perché si chiede alle banche un aumento delle tasse pari a 5 miliardi su 44 di profitti è già di per sè un segno di debolezza negoziale. Che poi è confermata anche dalle parole usate per accompagnare tale prelievo: un contributo. “Chiediamo alle banche di dare il loro contributo”, dicono con parole ovattate. Come se subissero una specie di sudditanza psicologica. Che infatti subiscono, perché le banche detengono buona parte del debito pubblico italiano e quindi hanno - per usare una espressione popolare - il coltello dalla parte del manico. Lo tengono così saldamente in mano che quel bottino di 5 miliardi scenderà.

Ma davvero voi pensate che la finanza si mette paura di Salvini o della stessa Meloni? La premier sta interpretando la parte, ma non ci crede a questa versione di un governo muscolare; nè ci crediamo noi dopo averli visti così impegnati nella costruzione di un asse con Caltagirone.

Quanto a Salvini, la vicenda è ancora più facile: uno che ha blaterato di cancellazioni della legge Fornero “altrimenti siete autorizzati a prendermi a sberle”, come può essere credibile nelle sue minacce contro le banche? Suvvia…

di Gianluigi Paragone

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