15 Dicembre 2025
Sergio Mattarella (fonte: Lapresse)
C’è un’Italia che parla, e un’altra che tace. C’è un’Italia che difende l’onore dello Stato e un’altra che abbassa lo sguardo. Il caso del giudice italiano della Corte penale internazionale Salvatore Aitala, condannato in contumacia da un tribunale di Mosca per aver firmato il mandato di cattura contro Vladimir Putin, ha fatto esplodere una frattura che a Roma molti fingono di non vedere ma che al Colle è ormai chiarissima.
Quando Sergio Mattarella prende la parola alla Farnesina e parla di un “mondo volto pericolosamente indietro, al peggiore passato”, non sta facendo filosofia. Sta mettendo un timbro istituzionale su un fatto gravissimo: la Russia di Putin ha colpito un magistrato italiano per intimidire la giustizia internazionale. Punto. E lo fa con un atto che sa di ritorsione politica, firmato dallo zar del Cremlino, che pretende di riscrivere il diritto internazionale a colpi di sentenze-farsa.
Il Presidente non pronuncia mai il nome di Aitala, ma lo difende fino in fondo. Difende lui, la Corte penale internazionale, e soprattutto difende l’Italia. Un gesto che al Quirinale viene vissuto come necessario, quasi obbligato, perché da Palazzo Chigi — ed è qui il vero retroscena — non è arrivato nulla. Nessuna condanna pubblica. Nessuna parola netta su Putin. Nessun atto formale di tutela verso un giudice italiano finito nel mirino di Mosca.
Silenzio.
E il silenzio, in politica estera, è sempre una scelta.
A Roma lo sanno bene. Nei corridoi della Farnesina si parla di “equilibri delicati”, di prudenza, di opportunità. Ma la verità è più semplice e più imbarazzante: il governo Meloni non vuole esporsi contro Putin. Non apertamente, non in modo frontale, non quando la questione diventa concreta e non più astratta. Condannare “la guerra” è facile. Difendere un giudice che ha firmato un mandato contro il leader russo lo è molto meno.
Così accade che sia ancora una volta Mattarella a fare supplenza politica. A ricordare chi siamo, da che parte stiamo, e soprattutto chi non possiamo permetterci di sembrare. Il richiamo a Norimberga non è casuale: è un colpo di fioretto, ma anche una stilettata. Perché la Russia che oggi condanna i giudici internazionali è la stessa che ieri si proclamava paladina della giustizia contro i crimini del nazismo.
Il paradosso è tutto lì. E Mattarella lo mette nero su bianco.
Intanto, mentre il Quirinale alza la voce, Palazzo Chigi resta immobile. E nasce così la narrazione delle due Italie. Quella istituzionale, europeista, ancorata al diritto internazionale, che parla dal Colle. E quella governativa, ambigua, silenziosa, attenta a non disturbare equilibri politici interni ed esterni (Trump), che preferisce non vedere.
Non a caso l’Associazione nazionale magistrati interviene, chiedendo spiegazioni e una presa di posizione del governo. Un gesto che a Palazzo Chigi viene vissuto come un’invasione di campo, ma che in realtà certifica il vuoto politico. Quando sono i magistrati e il Presidente della Repubblica a difendere l’onore del Paese, significa che l’esecutivo ha scelto di farsi da parte.
Il retroscena racconta che al Colle la pazienza è finita. L’intervento di Mattarella non è solo una difesa di principio, ma un messaggio chiaro: l’Italia non può stare in equilibrio tra legalità e complicità, tra diritto e paura. E se il governo non lo dice, qualcuno deve pur dirlo.
Così oggi l’Italia appare spaccata. Non su una legge o su una riforma, ma su una questione molto più profonda: il rispetto della giustizia internazionale e il coraggio di chiamare Putin per quello che è. Una frattura che non fa rumore, ma che pesa come un macigno. E che difficilmente resterà sotto traccia ancora a lungo.
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