Mercoledì 16 luglio il Senato ha votato a favore degli articoli 5, 6, 7 e 8 del disegno di legge, dopo il via libera del giorno prima all’articolo 4, cuore del provvedimento, che trasferisce dal Csm all’Alta Corte la competenza sui procedimenti disciplinari.
L’articolo 4 prevede che le decisioni dell’Alta Corte non siano impugnabili, un punto che ha acceso la protesta delle opposizioni e di una parte della magistratura.
"È un attacco all’indipendenza dei magistrati e al diritto di difesa: in uno Stato di diritto nessuna sentenza può essere definitiva in un solo grado", ha dichiarato il senatore del Partito Democratico Andrea Giorgis, mentre la segretaria Elly Schlein ha parlato di "una giustizia piegata al potere politico".
Critiche sono arrivate anche dall’Associazione nazionale magistrati: "L’inappellabilità delle decisioni rischia di creare un organo fuori da ogni controllo giurisdizionale", ha affermato l'ex presidente Giuseppe Santalucia, in carica fino a febbraio 2025.
Dei 1300 emendamenti presentati dall'opposizione, nessuno è stato accolto, quindi nessuna modifica è stata introdotta rispetto al testo già approvato dalla Camera in prima lettura.
Separazione delle carriere: i prossimi passi
Il percorso della riforma è comunque ancora lungo. Le dichiarazioni di voto finali e il voto complessivo sul provvedimento sono previsti martedì 22 luglio. Dopo l’ok del Senato, il disegno di legge tornerà alla Camera per la terza lettura e infine ancora al Senato per la quarta, come previsto per le leggi costituzionali. Le ultime due letture non consentono ulteriori emendamenti: il Parlamento potrà solo approvare o respingere il testo. Secondo il presidente della commissione Affari costituzionali, Alberto Balboni di Fratelli d'Italia, l’iter potrebbe concludersi entro novembre.
Per la maggioranza, la riforma è "un passo decisivo verso una giustizia più efficiente e imparziale", ma per l’opposizione rappresenta "una torsione autoritaria".
La separazione delle carriere, in breve
La riforma della giustizia approvata in Senato introduce la separazione delle carriere dei magistrati, creando due distinti percorsi professionali: uno per i giudici, che si occupano di decidere sulle cause, e uno per i pubblici ministeri, che conducono le indagini e sostengono l’accusa nei processi. Oggi giudici e pm fanno parte dello stesso corpo e possono passare da una funzione all’altra, ma con la riforma dovranno scegliere all’inizio della carriera e non potranno cambiare.
Inoltre, viene istituita un’Alta Corte disciplinare, separata dal Csm, che giudicherà le sanzioni ai magistrati; le sue decisioni saranno definitive e non impugnabili, punto che ha suscitato critiche da parte dell’opposizione politica e di alcune toghe, preoccupate per i rischi di ingiustizie senza possibilità di ricorso.