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"La libertà innanzi tutto e sopra tutto"
Benedetto Croce «Il Giornale d'Italia» (10 agosto 1943)

No, ad Auschwitz non furono né gli ucraini né gli americani a liberare i prigionieri: furono i russi. Ma non è tutto qui.

La Memoria è diventata un fumettone in cui ciascuno si sente autorizzato a stravolgere la realtà accertata, storicizzata. Segno dei tempi: si parla di Olocausto e si allude all'Ucraina. Tutto suona assurdo e inaccettabile, da qualsiasi parte

29 Gennaio 2023

Se questo è un uomo di Primo Levi

Nello stracciamento del tutto, si fa strage perfino dell'Olocausto. Opportunisti che lo usano, da anni, per il proprio narcisismo, politici che si selfano mentre ostentano (o fingono) lacrime definitive, l'immondo cartone animato che stravolge ogni significato fino alla verità depositata, storicizzata. Commentatori di destra, anche di estrema destra, che difendono l'Armata Rossa di Stalin, mentre a sinistra, anche estrema sinistra, riescono nell'improbabile impresa di attribuire la liberazione agli Ucraini. Una pandemonio, una confusione demoniaca che non risparmia i falsi grossolani, tipo, sui social, lo svolazzar di bandierine americane ad Auschwitz. E nell'orgia di propaganda ristabilire una onesta realtà diventa fatica improba. Per cominciare, è vero, è inattaccabile che i prigionieri in lager come primo indizio di libertà videro i soldati russi: ne scrive in alcune righe indimenticabili Primo Levi, uno che c'era e che, per sua e nostra fortuna, se n'è andato, in circostanze mai completamente accettate, prima di venire indotto a rovinare quel patrimonio di Memoria che come nessuno aveva contribuito a costruire. Altri, alla Memoria hanno reso, e tuttora rendono, un pessimo servizio: fazioso, vanitoso, inconcludente.

Andrebbe tuttavia aggiunto, o precisato, che l'armata di Stalin non agiva da liberatrice disinteressata, ma da nemica dei tedeschi, semplicemente: che dal lager al gulag non c'è frattura ma una continuità che, nel secondo caso, arriva fino al 1987, e della quale proprio l'Armata Rossa s'incaricò; ciò che si può concedere di non avere rimarcato a Primo Levi, ma non certo a tanti interpreti attuali. Il primo alleato di Hitler fu Stalin, e senza rimorsi; ne divenne spietato oppositore, ugualmente senza rimorsi (e i gulag c'erano già). Di certo c'è che i tedeschi cominciarono la loro sconfitta definitiva a Stalingrado; di altrettanto sicuro resta che senza l'apporto degli Stati Uniti le cose sarebbero andate in modo ancora più tragico per l'umanità.

Il che non autorizza falsi storici indisponenti quali le bandierine a stelle e strisce su Auschwitz. Ma attenzione: la propaganda distorsiva, che usa lo sterminio di 6 milioni di ebrei guardando a quello che succede in Ucraina, funziona da ambo le parti. Come sempre. Non andrebbe dimenticato, per cominciare, che Babj Jar, vicinissimo a Kiev, era il sacrario ucraino in memoria delle vittime del Nazismo: e che, un anno fa, fu raso al suolo dagli artiglieri di Putin. La guerra è sporca anche, o proprio, per questo, che le virtù, le ragioni morali affondano in una melma di opportunismo. Sempre e comunque. E quell'opportunismo, col tempo, diventa duttile, malleabile, pronto ad ogni uso. Si può capire, l'uomo è fatto così, pensa così, la politica lo intossica da sempre: però andrebbero posti certi limiti, sul limite della verità incontrovertibile ci si dovrebbe pur fermare. Invece tutto in queste celebrazioni ormai spompate, perché in overdose retorica, dell'Olocausto mostra una coda di paglia infinita: attribuire liberazioni ad eserciti ucraini che all'epoca non c'erano, così come a truppe americane che c'erano ma non c'erano, non c'entravano nel caso specifico; allo stesso modo, attribuire “liberazioni” all'esercito di una dittatura contro un'altra: tutto questo, ed altro ancora, suona quanto meno azzardato; non possono mancare, a completamento dello squallore, certi politici evitabili che in queste ore arrivano a dolersi del dilagare delle armate sovietiche a danno dei nazifascisti.

Come si vede, siamo in un circo dove vale tutto, ma niente – o pochissimo – è degno di ascolto e di attenzione. Succede quando una sciagura di significato e proporzioni epocali la si rende un cartone animato. Succede quando un disastro come l'invasione di un paese su un altro paese diventa motivo di squallida propaganda (da ambo le parti). Succede quando i due popoli in causa, in sé fratelli, anche se di quelle famiglie rissose fino alla spietatezza, sono condotti da capi che si odiano specchiandosi l'uno nell'altro. Da una parte uno che fa il giro delle copertine, degli eventi mondani, degli spettacolini televisivi per pretendere armi, sempre più armi: missili, carrarmati, ma perché poi limitarsi e non anche una dozzina di bombe atomiche, tanto per andar sul concreto? Dall'altra uno che arriva, per bocca dei suoi plenipotenziari a dire: se non ci fate fare quello che vogliamo, cioè la terza guerra mondiale a mezzo invasione, noi scateniamo la terza guerra mondiale. E se i vecchi comunisti o fascisti stanno con l'invasore, i cosiddetti post, moderati di destra e di sinistra, stravedono per l'invaso arrogante e non meno bellicista, in un gioco delle parti davvero sconcertante all'insegna del solito tradimento dei chierici.

Finché tutto finisce in un festival di canzonette stronze. Anche da questi aspetti si capisce che l'Occidente affoga in se stesso, nella propria melma di sabbie mobili, e forse davvero è fottuto come insinua chi lo odia, e sono tanti: non bastavano i revisionismi farneticanti di chi riscrive opere liriche, romanzi e pellicole nel nome di un patologico politicamente corretto, ci voleva pure il negazionismo manicomiale che parte dal lager e arriva alle cose ucraine in un delirio incontrollato di invenzioni. Ma sì, forse Sanremo è il posto giusto per le grandi tragedie mondiali, posto che la tragedia più grande e non saperle più riconoscere e rispettare come tali.

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