24 Ottobre 2024
Si è svolto ieri, 22 ottobre, in una sala del Senato messa a disposizione per concessione della senatrice Sabrina Licheri, il convegno organizzato dall'Associazione Canapa Sativa Italia che ha visto la partecipazione delle principali organizzazioni agricole e commerciali, tra cui Cna, Cia, Copagri, Confagricoltura, Sardinia Cannabis, Resilienza Italia Onlus, Federcanapa e Imprenditori Canapa Italia nonché di professori universitari, giuristi, addetti del settore. La confusione che avvolge il dibattito sulla canapa industriale in Italia è simile a quella che si creerebbe se si accusasse una birra analcolica di ubriacare. La canapa, qualsiasi sia il suo utilizzo – che si tratti di fiori, oli o altri derivati – non può essere classificata come stupefacente. Eppure l’articolo 18 di un nuovo disegno di legge potrebbe vietare produzione, trasporto, pulizia, lavorazione e commercializzazione delle infiorescenze, con il timore irrazionale che possano avere effetti ricreativi. Ma la realtà è ben diversa. Definirla ricreativa equivarrebbe a considerare una bevanda analcolica pericolosa quanto un alcolico.
Mattia Cusani, presidente dell'Associazione Canapa Sativa Italia, lo ha ribadito con fermezza nel convegno di ieri: "La canapa industriale non ha effetti psicotropi, e per questo non può essere considerata ricreativa. È un'opportunità agricola e commerciale oltre che di innovazione per il nostro paese, non una minaccia alla salute pubblica". In uno stato di diritto, la chiarezza è fondamentale, e non possiamo ignorare le evidenze scientifiche. È curioso che l’alcol – una sostanza ben nota per i danni sociali e sanitari – nel nostro paese sia legale e accettato, ma che si voglia vietare la canapa industriale con i suoi fiori, che non solo sono privi di effetti psicotropi, ma che hanno dimostrato innumerevoli benefici. Gli studi parlano chiaro: la dipendenza provocata dall’alcol è molto più pericolosa e diffusa rispetto a quella della cannabis con alto tenore di THC (già legalizzata negli Stati Uniti e in Germania), figuriamoci rispetto alla cosiddetta cannabis light, che presenta un contenuto di THC così basso da non avere effetti narcotici. Persino San Patrignano nel recente convegno al Senato del 18 ottobre scorso ha mostrato che la dipendenza da cannabis non light, quella a più alto contenuto di THC, è inferiore rispetto a quella dell’alcol.
"Eppure - ha detto Mattia Cusani - mentre le bottiglie di alcolici continuano a riempire gli scaffali, ci troviamo a discutere della canapa industriale che, con il suo fiore, non crea problemi di salute pubblica o di condotte antisociali, ma che anzi li limita. I fiori di canapa e l'olio di CBD non sono stupefacenti. Ripeterlo non è ridondante, è necessario". Ma il problema non è solo di carattere scientifico. C’è anche un serio rischio economico, e qui l'Italia potrebbe trovarsi a dover pagare il prezzo di una miopia normativa. Se l’articolo 18 del DDL Sicurezza venisse approvato, il risultato non sarebbe l’eliminazione della canapa dal mercato italiano. Tutt’altro: i fiori e i derivati della canapa continuerebbero a riempire gli scaffali, solo che sarebbero tutti prodotti di importazione, per esempio dalla Croazia, dalla Repubblica Ceca, dalla Francia o dalla Germania, dove la regolamentazione è più chiara e coerente con la normativa europea. L’Italia, nonostante terreni e clima ideale, resterebbe invece a guardare. Raffaele Desiante, Presidente dell'Associazione ICI, seduta insieme ad altre associazione di categoria al tavolo di filiera della canapa istituito nel 2020 presso il Ministero delle Politiche agricole oggi MASAF, durante il convegno ha parlato di 500 milioni di euro di fatturato e circa 150 milioni di euro di tasse pagate all’anno. I produttori, commercianti e trasformatori italiani che finora hanno contribuito a far crescere un settore sostenibile e innovativo, vedrebbero il loro lavoro soffocato da norme assurde.
Come ha ricordato Lorenza Romanese, direttrice dell'Associazione Europea EIHA nel corso del convegno: “nessuno Stato membro può impedire la libera circolazione di prodotti legalmente prodotti in un altro Stato membro”. Se il governo italiano continuerà su questa strada, le aziende italiane saranno schiacciate dalla concorrenza estera, e migliaia di posti di lavoro andranno persi. È un paradosso: mentre la canapa potrebbe rilanciare l’economia italiana, stiamo rischiando di far fuggire investimenti e competenze.
Il destino del settore della canapa industriale italiano e delle aziende italiane è oggi in bilico. Un settore che rischia di essere gravemente danneggiato da una legislazione miope e mal informata. E tutto questo per una pianta che, come una birra analcolica, non può essere considerata pericolosa o ricreativa, ma che anzi potrebbe fungere da volano per le zone rurali e per il Made in Italy. Potrebbe portare con sé il valore di un Brunello di Montalcino - ma con la capacità inebriante di un succo di frutta. Vietare la canapa e le sue infiorescenze non risolve nessun problema reale, anzi ne crea di nuovi. L’Associazione Canapa Sativa Italia e le altre associazioni di categoria chiedono un ripensamento sull’articolo 18 del DDL sicurezza e in caso venisse approvato sono pronte a battersi in tutte le sedi giudiziarie. È tempo che il dibattito sulla canapa sia guidato dalla ragione e dalla scienza, non dall’ideologia e da paure infondate. E tempo che anche l’Italia, come il resto d’Europa, sappia cogliere l’opportunità che ha davanti, senza voltare le spalle al buon senso.
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