11 Settembre 2025
L’intelligenza artificiale sta rapidamente diventando un asset strategico per la trasformazione della pubblica amministrazione italiana. Ma non può esistere IA senza dati di qualità, e non può esistere innovazione pubblica senza una governance robusta e condivisa di questi dati. È da questa consapevolezza che si muove il Piano Triennale per l’Informatica nella PA 2025-2027, che per la prima volta dedica un intero capitolo – il quinto – all’intelligenza artificiale, tracciando obiettivi misurabili e ambiziosi: 150 progetti IA avviati entro il 2025, 400 entro il 2026, e centinaia di iniziative di acquisizione tecnologica. Un’accelerazione necessaria per colmare il ritardo digitale dell’Italia, ancora ferma al 19° posto nel Digital Government Index dell’Ocse, con una pubblica amministrazione troppo spesso priva di una visione data-driven. Ma qualcosa si muove, e il FORUM PA 2025 ha offerto un'importante fotografia dello stato dell’arte, mettendo a confronto istituzioni, esperti e imprese del settore tecnologico.
IA e dati: un matrimonio (non) scontato
“L’IA senza dati affidabili è solo una suggestione teorica”, ha dichiarato con pragmatismo Fabrizio Pierleoni del Dipartimento per la Trasformazione Digitale. La qualità del dato, secondo Pierleoni, non è un concetto astratto, ma il risultato di processi strutturati: standard condivisi, interoperabilità semantica, strumenti tecnologici adeguati e un solido impianto di governance. Su questo punto ha insistito anche Antonio Maria Tambato di AgID, sottolineando la necessità di superare l’idea del dato come archivio statico: i dati devono essere scelti, strutturati e resi utili per alimentare algoritmi intelligenti, in un’ottica di automazione dei processi amministrativi. Tuttavia, il nodo dell’interoperabilità resta centrale. La molteplicità di fonti informative e la frammentazione semantica tra enti ostacolano la costruzione di un vero ecosistema digitale. Le piattaforme come la PDND o il Catalogo Nazionale Dati rappresentano un primo passo, ma occorre fare di più per uniformare linguaggi, ontologie e modelli.
Cultura del dato e ostacoli culturali
Non si tratta solo di problemi tecnici. La resistenza al cambiamento, la “gelosia del dato” tra enti, l’inerzia organizzativa: sono questi i veri freni della trasformazione. Per superare queste barriere, servono investimenti in formazione, cultura digitale e modelli organizzativi condivisi. Esperienze virtuose non mancano. L’INAIL, ad esempio, ha integrato la governance dei dati con quella dell’IA in un percorso che coinvolge non solo l’IT, ma anche i dipartimenti “di business”, promuovendo policy, formazione e comunicazione interna. L’ISTAT, invece, ha introdotto chatbot basati su modelli OpenAI per migliorare la fruibilità dei dati statistici, mentre la Regione Emilia-Romagna ha lanciato un data marketplace per democratizzare l’accesso ai dataset pubblici. Anche ENAC si è distinto con il progetto Hyper Twin, un gemello digitale per la gestione della mobilità aerea innovativa, che sfrutta open data e algoritmi di machine learning per valutare la complessità delle missioni dei droni. Un esempio concreto di come l’integrazione tra fonti eterogenee e l’uso intelligente dei dati possano generare innovazione.
Il ruolo del privato: partner, non fornitore
Il partenariato pubblico-privato emerge come snodo cruciale di questo processo. Non si tratta più di affidare servizi in outsourcing, ma di co-progettare soluzioni innovative. Come ha affermato Valerio Morfino di DXC Technology, “l’integrazione tra data governance e intelligenza artificiale deve generare valore reale per i cittadini e migliorare la macchina amministrativa”. Fondamentale anche il contributo dei player della cybersicurezza. Alessandro Fontana di Trend Micro ha ricordato come “la fiducia” sia un prerequisito per l’adozione dell’IA, non solo in termini di affidabilità tecnica, ma anche di rispetto della sovranità del dato e protezione dagli attacchi informatici, sempre più frequenti nel settore pubblico.
Snellire la PA per renderla proattiva
Non basta adottare tecnologie avanzate: serve una pubblica amministrazione più agile, meno burocratica, capace di sperimentare. Come ha osservato Andrea Rangone del Politecnico di Milano, “l’IA è una discontinuità simile a Internet negli anni '90: non è banale da usare, ma è democratica e accessibile. L’Italia deve cogliere questa occasione per rinnovare davvero la PA”. La sfida, in definitiva, è anche (e forse soprattutto) generazionale. Serve attrarre giovani, nativi digitali, capaci di pensare in modo diverso, portando nelle amministrazioni non solo competenze tecniche, ma una nuova cultura organizzativa. Ester Rotoli, dell’INAIL, lo ha detto chiaramente: “La PA deve sviluppare il capitale umano digitale”.
Verso una PA data-driven, etica e trasparente
In conclusione, il binomio data governance e intelligenza artificiale può davvero rivoluzionare il modo in cui la pubblica amministrazione interagisce con i cittadini. Ma per riuscirci, occorre lavorare su più piani: governance, formazione, interoperabilità, partenariato, sicurezza. L’obiettivo finale? Una PA capace di trasformare i dati in conoscenza e la conoscenza in servizi. Una PA che non subisca l’innovazione, ma che la guidi con competenza, responsabilità e visione. La sfida è aperta. E il tempo stringe.
di Riccardo Renzi
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