10 Settembre 2025
Rover Perseverance (foto profilo ufficiale Facebook NASA)
Che Marte avesse ospitato acqua, anche in grandi quantità, non è più una semplice ipotesi da tempo. Dalle tracce di oceani antichi fino ai depositi di ghiaccio rilevati in più zone del pianeta, gli scienziati erano convinti che prima o poi si sarebbe arrivati a un annuncio come quello diffuso in queste ore: la possibile scoperta di indizi di vita passata sul Pianeta Rosso.
Il protagonista è ancora una volta il rover Perseverance della NASA, che già nel 2022 aveva destato l’attenzione globale per aver identificato rocce contenenti tracce organiche. Oggi torna sotto i riflettori grazie all’individuazione di insoliti minerali associati a carbonio organico, considerati “potenziali biofirme” meritevoli di ulteriori analisi per determinare se possano effettivamente derivare da processi biologici. L’annuncio è stato pubblicato sulla rivista Nature da un team internazionale di ricerca, a cui ha preso parte anche l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF).
Perseverance, atterrato su Marte nel febbraio 2021 con la missione dichiarata di cercare tracce di vita extraterrestre, sembra dunque star mantenendo la promessa, alla luce di quanto emerso da quattro anni di esplorazioni.
Le nuove scoperte derivano dall’analisi di rocce argillose campionate nel 2024 nel cratere Jezero, in una zona nota come formazione Bright Angel – un affioramento roccioso situato alla base della valle fluviale Neretva Vallis. Il campione esaminato, chiamato “Sapphire Canyon”, ha mostrato la presenza di minuscoli noduli e granuli arricchiti di fosfato di ferro e solfuro di ferro, associati a carbonio organico.
Secondo i ricercatori, la particolare combinazione di minerali e materiale organico osservata in questo contesto sedimentario rafforza l’ipotesi che possa trattarsi di “potenziali biofirme”, anche se sarà necessario escludere che l’origine sia puramente geochimica.
Nell’abstract dello studio si legge che il rover “ha studiato affioramenti caratteristici della formazione Bright Angel, costituiti da argilliti (mudstone) e conglomerati. In questo lavoro presentiamo un’analisi geologica, petrografica e geochimica dettagliata di tali rocce, mostrando che le argilliti contenenti carbonio organico, ospitano noduli a scala sub-millimetrica e fronti di reazione millimetrici arricchiti in fosfato ferroso e minerali solfuri, probabilmente vivianite e greigite (due minerali estremamente rari, ndr)”.
Lo studio aggiunge inoltre che “il carbonio organico sembra aver preso parte a reazioni redox post-deposizionali, che hanno portato alla formazione dei minerali ferro-fosfatici e ferro-solfurici osservati. Il contesto geologico e le evidenze petrografiche indicano che queste reazioni possano essere avvenute a basse temperature”.
Nelle conclusioni, gli autori spiegano: “All’interno di questo quadro, discutiamo i diversi percorsi attraverso i quali reazioni redox che coinvolgono materia organica possono generare, in laboratorio e in ambienti naturali terrestri, l’associazione di minerali contenenti ferro, zolfo e fosforo osservata. In definitiva, concludiamo che l’analisi del campione carotato prelevato da questa unità, condotta con strumentazioni ad alta sensibilità sulla Terra, renderà possibili le misurazioni necessarie per chiarire l’origine dei minerali, delle sostanze organiche e delle strutture testurali che esso conserva”.
I campioni raccolti da Perseverance, tuttavia, non potranno essere analizzati sulla Terra prima del 2040, a causa di uno slittamento nella tabella di marcia della missione di rientro, inizialmente prevista per l’inizio del 2030. Il ritardo è legato all’aumento dei costi, che hanno ormai raggiunto la cifra di 11 miliardi di dollari. Fino a quel momento, gli scienziati dovranno continuare a basarsi su simulazioni di laboratorio e su analoghi terrestri per testare la validità delle loro ipotesi.
La scoperta è stata accolta con grande interesse anche al di fuori del team di ricerca. Due esperti non coinvolti nello studio, Janice Bishop del Seti Institute e Mario Parente dell’Università del Massachusetts Amherst, hanno definito i risultati una “scoperta entusiasmante”, pur ricordando la necessità di cautela.
“Questo è uno dei motivi per cui non possiamo arrivare a dire ‘Ah, questa è la prova positiva dell’esistenza della vita’”, ha spiegato alla Associated Press il ricercatore capo Joel Hurowitz, della Stony Brook University. “Tutto ciò che possiamo dire è che una delle possibili spiegazioni è la vita microbica, ma potrebbero esserci altri modi per creare questo insieme di caratteristiche che osserviamo”.
Hurowitz ha però aggiunto che si tratta del “candidato migliore e più convincente finora” nella ricerca del rover su potenziali tracce di vita antica. Il campione “Sapphire Canyon” rappresenta il venticinquesimo campione raccolto, e il conteggio totale è ora salito a 30, con altri sei ancora da prelevare.
Bishop e Parente, in un editoriale che accompagna lo studio, hanno concluso: “Non ci sono prove della presenza di microbi su Marte oggi, ma se ce ne fossero stati sull’antico Marte, anche loro potrebbero aver ridotto i minerali solfati formando solfuri in un lago simile nel cratere Jezero”.
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