06 Agosto 2025
Nordio, Piantedosi, Mantovano e Meloni, fonte: Wikipedia
Nuovi dettagli sulle indagini ormai chiuse sul caso Almasri. Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e Alfredo Mantovano si trovano al centro di accuse come favoreggiamento, omissione d'atti d'ufficio e peculato. Il tribunale dei ministri, che ha condotto la parte inquisitoria finora, ha dichiarato: "I tre politici hanno agito in questo modo perché temevano ritorsioni".
Omissione di atti d’ufficio, favoreggiamento personale aggravato e peculato: sono queste le accuse pesantissime che il Tribunale dei ministri di Roma muove al ministro della Giustizia Carlo Nordio, al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e al sottosegretario Alfredo Mantovano, per aver consentito il rimpatrio del generale libico Osama Almasri, ricercato dalla Corte Penale Internazionale per crimini gravissimi. In particolare, Nordio è accusato di omissioni d'atti d'ufficio, Piantedosi e Mantovano di concorso in peculato e tutti e tre i politici di concorso in favoreggiamento.
Secondo i giudici, i tre erano perfettamente consapevoli del mandato di arresto spiccato dalla Cpi e delle richieste formali di cooperazione internazionale. Eppure – si legge nelle 90 pagine della richiesta di autorizzazione a procedere – "non dando corso a tali richieste il primo, decretando il secondo la formale espulsione del ricercato […] e disponendo il terzo l’impiego di un volo Cai", i tre avrebbero "scientemente e volontariamente aiutato" Almasri a sottrarsi alla giustizia internazionale.
Nordio avrebbe assunto un atteggiamento attendista, ignorando comunicazioni urgenti per l’arresto e il sequestro di dispositivi elettronici utili all’inchiesta, mentre Piantedosi e Mantovano avrebbero pianificato e attuato l’espulsione illegittima, servendosi di un volo di Stato, con fondi e mezzi pubblici, solo per permettere la fuga del generale. Da qui anche l’accusa di peculato.
Il Tribunale sottolinea che il comportamento dei tre ha rappresentato una "palese violazione delle norme internazionali", ricordando che l’Italia ha l’obbligo di arrestare ed estradare chiunque sia colpito da un mandato della Cpi. Tuttavia, i giudici evidenziano che le azioni dei vertici di governo sarebbero state motivate dal timore di ritorsioni. Preoccupazioni espresse in riunioni riservate dal direttore dell’Aise, Giovanni Caravelli, rispetto a possibili minacce per cittadini e interessi italiani in Libia, tra cui lo stabilimento Eni di Mellitah.
Ora la richiesta di autorizzazione a procedere è sul tavolo della Camera, dove sarà valutata dalla Giunta. Ma l’esito sembra scontato: con una maggioranza di centrodestra ampia (circa 235 deputati su 400) e una tradizione parlamentare ostile ai procedimenti contro i ministri in carica, è altamente improbabile che Montecitorio autorizzi il processo.
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