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Trump non dissotterra l'ascia di guerra: la decisione di non fornire i missili Tomahawk a Kiev avvicina alla pace con Mosca

Trump ha saggiamente deciso che l'ascia di guerra rimanga ancora sottoterra e non sembra intenzionato a toccarla, con buona pace di Zelensky e di tutti i suoi alleati europei che quotidianamente sembrano dare l'impressione di non voler capire che è giunto il momento di cominciare ad usare le parole

19 Ottobre 2025

Trump, Putin, Zelensky

Trump, Putin, Zelensky, fonte: Wikipedia

Il significato di Tomahawk è ben chiaro ai più, ma qualora fosse necessario, era una piccola ascia di legno, usata per lavoro e combattimento dagli Indiani del Nord-America e l'usanza voleva che il suo dissotterramento significasse lo stato di guerra.
Negli ultimi decenni, la fama di questo pezzo di storia, è stata affiancata se non surclassata dalle gesta di un Tomahawk, sempre americano, ma che di ligneo non ha nulla e che dispone di ben altro potenziale bellico, rispetto all'attrezzo indiano.

Si tratta infatti di un missile da crociera USA, entrato in servizio nei primi anni '80 e che per le sue caratteristiche, sino a 2500 km di gittata e 450 kg. di esplosivo (può avere anche testata nucleare), è stato impiegato in tutti i principali conflitti in cui Washington è stata coinvolta degli ultimi decenni, Guerra del Golfo, Libia, Siria e interventi di minore profilo come lo Yemen. Pur se progettualmente datato, è stato progressivamente migliorato negli anni, per cui è tutto sommato in grado di assolvere efficacemente il proprio compito di colpire in profondità obiettivi terrestri di grande importanza, purché non impiegato singolarmente, perché la sua velocità sub-sonica (800 Km./h.) lo rende abbastanza vulnerabile alla moderna difesa aerea. Il suo costo supera i 2 milioni di dollari al pezzo.

In questo momento, questi missili costituiscono l'oggetto del desiderio di Zelensky, perchè entrarne in possesso gli consentirebbe di estendere decisamente le sue possibilità di colpire il territorio russo che, attualmente, si limitano ai 500 km. garantiti dai sistemi che gli ha sinora fornito l'Occidente.

In termini operativi, si tratterebbe di un ulteriore problema per Mosca, perché anche qualora Washington fornisse a Kiev la versione meno performante dei Tomahawk, che ha raggio d'azione di circa 1600 km., più di 60 basi aeree russe sarebbero “sotto tiro”, comprese alcune da cui operano i bombardieri strategici, che martellano l'Ucraina con i loro missili.

Tuttavia, i possibili successi ucraini, oltre che dalla reale disponibilità di questo assetto, sarebbero fortemente condizionati dalla quantità di missili che gli USA sarebbero in grado e disposti a fornire loro. E su questo aspetto non ci sono grandi margini di manovra, perché negli arsenali americani le dotazioni sono tutt'altro che ridondanti. Infatti, secondo le informazioni ufficiali, dall 2022 il Pentagono ha acquisito 202 assetti, di cui 124 sono stati già utilizzati contro gli Houti (Yemen) e l'Iran, per cui i rimanenti non costituiscono una scorta tale da essere generosi con Kiev, anche perché una parte di questi sembra abbia già un potenziale destino operativo, essendo imbarcati sulle unità navali americane, che stanno incrociando davanti alle coste venezuelane.

Pertanto, qualora sussistesse la volontà politica di Trump di accontentare Zelensky, i missili che partirebbero per l'Ucraina sarebbero una trentina o poco più, per cui non costituirebbero un fattore determinante nello sviluppo delle operazioni future, perlomeno se si considerano i soli obiettivi prettamente militari, come le basi aeree.

Al netto di tutte queste considerazioni che, comunque, servono per chiarire un po' di concetti riguardo l'argomento del momento nel conflitto russo-ucraino, rimane per ora il fatto che, nel recentissimo incontro con Zelensky a Washington, il Presidente Trump ha negato il suo consenso, almeno per ora, di fornire i Tomahawk.

Una grande delusione per il Leader ucraino, con il suo entourage che si è affrettato ad imputare alla telefonata del giorno precedente del Presidente USA con Putin, il “cambio di rotta americano” visto che, secondo Kiev, Washington era decisamente orientata a mettere in campo gli agognati missili.

In realtà, il Tycoon era tutt'altro che propenso a fare questo passo, perché molto probabilmente conscio che il peso specifico operativo del Tomahawk nel campo di battaglia sarebbe intrinsecamente relativo e, come detto, direttamente proporzionale al suo numero, ma sotto l'aspetto politico, la sua presenza costituirebbe un vero e proprio “calcio di rigore” per Putin, per lamentare un'aperta e chiara provocazione verso l'escalation, nonostante la sua volontà sia esattamente contraria.

E' indiscutibile che il primo aspetto che induceva al dubbio gli Americani ha semplice natura tecnica, ma gravi conseguenze politiche. I Tomahawk sono assetti in dotazione solo a USA e Gran Bretagna ed il loro impiego presuppone capacità di Intelligence e di Comando e Controllo che non si improvvisano e neanche si acquisiscono facilmente (ammesso che chi le detiene le voglia rilasciare). Pertanto, l'eventuale uso di questi missili in Ucraina non potrebbe prescindere dal coinvolgimento diretto in operazioni di personale di Washington, con tutte le complicazioni (eufemismo) del caso.

Inoltre, non è da sottovalutare che gli USA, già prima dei colloqui Trump-Zelensky, temevano l'intenzione degli Ucraini di utilizzare questi missili anche su obiettivi civili di altissima valenza strategica per Mosca. Al riguardo, vale la pena evidenziare che gran parte degli impianti petroliferi e di raffinazione russi rientrerebbero nel raggio d'azione del Tomahawk. Neanche a dirlo, pensando fosse un jolly per convincere il Presidente USA, il Leader ucraino ha confermato l'ipotesi di colpire tali target, ma l'effetto ottenuto è stato probabilmente quello contrario, perché la policy trumpiana di soffocare l'esportazione petrolifera di Mosca è disponibile a sostenere una guerra commerciale, ma non a percorrere la via della forza, perché non intende assolutamente correre rischi di escalation con la Russia, soprattutto con una situazione problematica nell'Indo-Pacifico, che fagocita le attenzioni militari di Washington.

Pertanto, Trump ha saggiamente deciso, per la fortuna delle sorti del mondo, che l'ascia di guerra rimanga ancora sottoterra e non sembra intenzionato a toccarla, con buona pace di Zelensky e di tutti i suoi alleati europei che, invece, quotidianamente sembrano dare l'impressione di non voler capire che è giunto il momento di cominciare ad usare le parole. Ma quelle giuste per imboccare seriamente una vera via di pace.


Generale di Corpo d'Armata degli Alpini
Marcello Bellacicco

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