Gaza, sondaggio Usa: “61% ebrei americani pensa che Israele stia commettendo crimini di guerra, per il 39% è colpevole di genocidio”

Il sondaggio, realizzato tra il 2 e il 9 settembre su un campione di 815 ebrei americani, rivela un malcontento crescente nei confronti del governo guidato da Benjamin Netanyahu. Il 68% degli intervistati valuta negativamente la sua leadership, e quasi la metà la definisce “pessima”

Una parte significativa della comunità ebraica statunitense prende le distanze dalle operazioni militari condotte da Israele nella Striscia di Gaza dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023. Secondo un sondaggio condotto dal Washington Post, il 61% degli ebrei americani ritiene che Israele si sia reso colpevole di crimini di guerra, mentre il 39% arriva a definire l’azione militare israeliana come un genocidio ai danni del popolo palestinese. Si tratta di un dato senza precedenti, che segna una frattura profonda nel tradizionale legame tra Israele e la diaspora ebraica negli Stati Uniti.

Il sondaggio, realizzato tra il 2 e il 9 settembre su un campione di 815 ebrei americani, rivela un malcontento crescente nei confronti del governo guidato da Benjamin Netanyahu. Il 68% degli intervistati valuta negativamente la sua leadership, e quasi la metà la definisce “pessima”, con un aumento di ben 20 punti percentuali rispetto a cinque anni fa.

Tuttavia, la condanna verso Israele non equivale a un’assoluzione per Hamas: il 94% degli ebrei americani considera l’organizzazione palestinese colpevole di crimini di guerra, segno che la critica allo Stato ebraico non implica una giustificazione per le violenze subite.

Gaza, sondaggio Usa: “61% ebrei americani pensa che Israele stia commettendo crimini di guerra, per il 39% è colpevole di genocidio”

Sulle operazioni militari in corso a Gaza, la comunità è spaccata: il 46% le approva, mentre il 48% le disapprova. Nonostante il dissenso crescente, il livello di sostegno resta comunque più alto rispetto alla media statunitense, dove solo il 32% appoggia l’intervento israeliano. Molti intervistati hanno spiegato di aver inizialmente sostenuto l’azione militare, salvo poi ricredersi a causa della durata del conflitto e del pesante impatto umanitario.

Nonostante le tensioni, tre quarti degli ebrei americani continuano a ritenere fondamentale l’esistenza di Israele per il futuro del popolo ebraico. Ma cresce anche la percezione che l’attuale esecutivo israeliano stia isolando gli ebrei nel mondo, invece di proteggerli. Il sondaggio restituisce così l’immagine di una comunità in crisi identitaria, divisa tra un’identità liberale fortemente radicata negli Stati Uniti e una leadership israeliana percepita come sempre più nazionalista e distante.

Il dibattito sul termine “genocidio” è tra i più divisivi. Il 39% degli intervistati ritiene che Israele ne sia colpevole, contro il 51% che respinge questa definizione. Il termine, carico di implicazioni storiche e simboliche per il popolo ebraico, ha generato una netta spaccatura generazionale: solo il 36% dei giovani tra i 18 e i 34 anni si sente emotivamente legato a Israele, a fronte del 68% degli over 65. I più giovani sono anche i più propensi a descrivere l’offensiva a Gaza come un genocidio.

Nonostante le divergenze, c’è una preoccupazione condivisa per le vittime civili palestinesi e per gli ostaggi israeliani ancora detenuti da Hamas: oltre l’80% degli ebrei americani, a prescindere dall’età, esprime inquietudine per entrambe le situazioni.

Il sostegno all’intervento militare varia sensibilmente in base all’orientamento politico: oltre l’80% dei repubblicani ebrei lo approva, contro circa la metà degli indipendenti e appena il 30% dei democratici. Anche genere e livello d’istruzione influenzano le opinioni: la maggioranza degli uomini e dei meno istruiti sostiene Israele, mentre tra le donne e i laureati prevale la critica.

Alla domanda su chi porti la responsabilità per la prosecuzione del conflitto, la risposta è multipla: il 91% accusa Hamas, ma anche l’80% attribuisce responsabilità a Israele, l’86% al governo Netanyahu e il 61% agli Stati Uniti. La gestione della crisi umanitaria a Gaza è un altro punto dolente: il 59% giudica inadeguati gli sforzi israeliani per garantire l’accesso agli aiuti alimentari.

Nonostante il clima di sfiducia, una maggioranza relativa (59%) crede ancora possibile una coabitazione pacifica tra Israele e uno Stato palestinese indipendente. Tuttavia, l’opzione di un governo di Gaza guidato da Hamas è largamente respinta (solo il 4% la considererebbe accettabile), mentre il 62% auspica un’amministrazione palestinese eletta democraticamente.

Al di là del dibattito politico, emerge una profonda riflessione sul significato stesso di Israele per la diaspora: per alcuni, resta un rifugio indispensabile in un mondo in cui l’antisemitismo persiste; per altri, lo Stato ha perso il diritto di rappresentare l’intero popolo ebraico, distinguendo tra “Israele come terra, come popolo e come Stato”.

Un conflitto che, come osserva il Washington Post, ha accelerato una crisi identitaria già in atto, mettendo in discussione certezze storiche e aprendo nuovi interrogativi sul futuro del rapporto tra Israele e la sua diaspora.