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Dalla Libia al carcere: Nicolas Sarkozy, la guerra “umanitaria” e la fine delle illusioni europee nel Mediterraneo

Il destino di Sarkozy appare quasi come una metafora: l’uomo che voleva mostrare al mondo la grandezza della Francia è finito prigioniero delle sue stesse contraddizioni

01 Ottobre 2025

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Nicolas Sarkozy, fonte: Facebook @Russia-Press

Nel marzo 2011, la Francia di Nicolas Sarkozy dava il via all’operazione Harmattan, primo atto militare di un intervento occidentale che avrebbe portato alla caduta di Muammar Gheddafi e al collasso definitivo dello Stato libico. Ma quella che all’epoca fu presentata come un’azione umanitaria volta a salvare la popolazione civile da un’imminente strage, si è rivelata, tredici anni dopo, uno dei più gravi errori strategici compiuti in epoca post-Guerra Fredda.

A partire da quell’intervento, molti analisti hanno parlato di una “crisi libica come prima guerra dell’era post-americana nel Mediterraneo”. Per la prima volta, infatti, un presidente americano – Barack Obama – si limitava a seguire l’iniziativa diplomatica e militare di un presidente europeo, Nicolas Sarkozy, rovesciando l’asse tradizionale della leadership occidentale. In quella crisi, la Francia si mosse da protagonista assoluta, con obiettivi che andavano ben oltre la tutela dei diritti umani.
Dietro le motivazioni ufficiali si celavano ambizioni di politica interna e una volontà precisa: rilanciare la proiezione strategica francese nel Mediterraneo, scossa dalle rivolte arabe che avevano travolto due partner fondamentali di Parigi come Tunisia ed Egitto. L’Eliseo, più che il Quai d’Orsay, intuì nella rivolta di Bengasi un’opportunità per riabilitare l’immagine della Francia nel mondo arabo, segnata fino a quel momento da ambigue relazioni con regimi autoritari.

Eppure, proprio quella “guerra umanitaria” sarebbe diventata il simbolo delle contraddizioni francesi e del fallimento dell’Europa come attore geopolitico. La Francia colpì per prima. L’azione diplomatica del filosofo Bernard-Henri Lévy, in diretto contatto con gli insorti libici, accelerò il riconoscimento del Consiglio Nazionale Transitorio da parte di Parigi. Gli Stati Uniti seguirono con riluttanza, la Germania si smarcò, e l’Italia fu scavalcata nonostante i legami storici ed economici con Tripoli.

Sarkozy aveva tutto l’interesse a guidare quell’operazione: rilanciare la sua immagine in vista delle presidenziali del 2012, controbilanciare il peso italiano in Libia e rafforzare la proiezione francese nel continente africano. Ma la scelta di abbattere il regime senza pianificare il “dopo” ha avuto conseguenze disastrose.

La verità emersa anni dopo è ancora più amara. Il 25 settembre 2025, Sarkozy è stato condannato a cinque anni di carcere per aver ricevuto finanziamenti occulti dal regime di Gheddafi nella sua campagna presidenziale del 2007. L’uomo che ordinò i bombardamenti contro Tripoli era lo stesso che aveva stretto rapporti opachi con il colonnello pochi anni prima. Dalle valigie di denaro ai missili della NATO: una parabola che ha finito per travolgere non solo la carriera politica di Sarkozy, ma la stessa credibilità della Francia come potenza mediatrici nel Mediterraneo.

La Libia oggi è un Paese diviso, senza un’autorità statale riconosciuta, controllato da milizie, trafficanti, attori regionali e potenze straniere. Turchia, Russia, Egitto, Emirati e Qatar si contendono l’influenza su un territorio che è diventato un vuoto strategico, un corridoio migratorio verso l’Europa e un hub di instabilità per il Sahel e il Nord Africa.

I danni non si limitano alla Libia. L’intervento francese ha aggravato le tensioni europee, esacerbando i contrasti con l’Italia, che non aveva nascosto il suo disappunto per la mancanza di coordinamento. In termini storici, l’intervento ha rappresentato il colpo di grazia per ogni velleità di politica estera e di difesa comune dell’Unione Europea. Il Mediterraneo, che avrebbe potuto essere il banco di prova di una “sovranità strategica europea”, è diventato il simbolo della sua impotenza.

Il caso Sarkozy offre oggi una duplice lettura. Da un lato, un ex presidente condannato con sentenza definitiva, divenuto il primo capo di Stato francese del dopoguerra a scontare una pena detentiva. Dall’altro, una guerra che doveva dimostrare la forza e l’autonomia strategica europea si è trasformata in un boomerang geopolitico, lasciando una regione intera nel caos e mettendo a nudo le fragilità strutturali delle democrazie occidentali.

La giustizia francese ha chiuso il capitolo giudiziario, ma la storia non ha ancora chiuso quello politico e morale. Il destino di Sarkozy appare quasi come una metafora: l’uomo che voleva mostrare al mondo la grandezza della Francia è finito prigioniero delle sue stesse contraddizioni. Ma a pagare il prezzo più alto non è lui. Sono i libici, gli africani del Sahel, gli europei esposti a nuove minacce, e un Mediterraneo che oggi è più instabile che mai. La lezione da trarre è chiara ma ignorata: abbattere una dittatura non significa creare una democrazia. Senza un progetto politico e senza una visione condivisa, anche l'intervento più apparentemente giustificato si trasforma in tragedia.

Di Riccardo Renzi

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