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Afghanistan, la nuova arena dello scontro tra grandi potenze: USA, Cina e Russia intrecciano strategia e interessi in Asia centrale

L’Afghanistan è oggi un crocevia geopolitico che nessuna grande potenza può permettersi di ignorare, ma le difficoltà interne e il contesto regionale ne limitano fortemente le possibilità di sviluppo e pacificazione. Gli Stati Uniti, con la provocatoria riapertura del dossier Bagram, rilanciano un segnale forte nel “grande gioco” dell’Asia Centrale, ma dovranno fare i conti con una realtà più complessa e multipolare, dove Russia e Cina non stanno a guardare

29 Settembre 2025

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Fonte: lapresse.it

Afghanistan, crocevia geopolitico: la partita tra Stati Uniti, Cina e Russia riparte dalla base di Bagram

Dal ritorno al potere dei talebani nell’agosto 2021, l’Afghanistan è tornato a essere un territorio di grande interesse strategico, ma in modo meno visibile rispetto al passato. Mentre il Paese affronta una crisi interna profonda, con livelli di povertà e instabilità senza precedenti, le grandi potenze internazionali si confrontano dietro le quinte, trasformandolo in un vero e proprio terreno di scontro e di diplomazia pragmatico-strategica. Stati Uniti, Cina e Russia sono i principali attori di questo gioco, ognuno con le proprie priorità e modalità di azione. La recente accesa controversia sulla base aerea di Bagram — un complesso militare fondamentale situato a circa 60 chilometri da Kabul, che per vent’anni ha rappresentato il cuore operativo degli USA in Afghanistan — ha riaperto una questione considerata ormai archiviata dopo il ritiro americano del 2021. L’ex presidente Donald Trump, tramite un messaggio su Truth Social, ha rilanciato la richiesta di riappropriazione della base, puntando il dito contro la leadership talebana che ha rifiutato qualsiasi negoziazione in tal senso. La motivazione di Washington va oltre l’Afghanistan: la base di Bagram sarebbe un avamposto strategico non solo contro le minacce jihadiste — in particolare contro lo Stato Islamico del Khorasan (ISKP), attivo nella regione — ma soprattutto un punto chiave per contrastare l’espansione cinese e iraniana in Asia Centrale. La vicinanza della base ai confini cinesi, a meno di 800 chilometri dalla regione dello Xinjiang, fa di Bagram un hub potenziale per operazioni di intelligence e militari volte a monitorare e contenere Pechino. I talebani, dal canto loro, hanno risposto con fermezza, riaffermando la sovranità afghana e richiamando gli accordi di Doha del 2020, che proibiscono qualunque presenza militare statunitense sul territorio nazionale. Il rifiuto ha portato Trump a minacciare “gravi conseguenze”, rilanciando così una tensione che rischia di far precipitare la situazione.

Pragmatismo russo e cinese: un nuovo gioco di equilibri

Mentre Washington cerca di riaffermare la propria influenza in maniera diretta, Mosca e Pechino hanno scelto un approccio più sottile, fondato su pragmatismo e calcolo strategico. La Federazione Russa è stata la prima potenza a riconoscere ufficialmente il governo talebano nel 2025, una mossa che ha segnato un importante passo nella normalizzazione delle relazioni. Mosca ha da allora intensificato gli scambi economici e diplomatici con Kabul, togliendo anche i talebani dalla lista delle organizzazioni terroristiche dopo oltre vent’anni, dimostrando quanto la cooperazione con il regime di Kabul sia centrale nella strategia russa di contenimento delle minacce jihadiste regionali, soprattutto dello Stato Islamico. Analogamente, la Cina mantiene un atteggiamento cauto ma costante: non ha formalmente riconosciuto il governo talebano, ma ha nominato un ambasciatore e continua a mantenere aperta la propria rappresentanza diplomatica a Kabul. L’interesse di Pechino si sviluppa su due fronti principali: da un lato, lo sviluppo infrastrutturale ed economico, con investimenti come il Corridoio di Wakhan, che collega direttamente lo Xinjiang all’Afghanistan, elemento cruciale per le ambizioni di espansione commerciale legate alla Belt and Road Initiative. Dall’altro, la necessità di contenere la minaccia del Turkistan Islamic Party (TIP), un gruppo jihadista uiguro particolarmente attivo in Afghanistan e potenzialmente pericoloso per la stabilità interna cinese. Nel luglio 2024 sono circolate notizie non confermate circa la costruzione di una base militare cinese in Tagikistan, una mossa che testimonia l’attenzione di Pechino verso la regione e il timore che il ritorno dei talebani possa trasformare l’Afghanistan in un rifugio sicuro per gruppi estremisti ostili alla Cina.

La difficile sfida dell’instabilità interna

Nonostante il dialogo e l’interesse delle grandi potenze, l’Afghanistan si presenta oggi come un Paese profondamente fragile. Il rapporto UNICEF-Oxford Poverty and Human Development Initiative evidenzia che oltre il 60% della popolazione vive in condizioni di povertà estrema, una situazione aggravata dall’isolamento internazionale e dalla crisi economica post-2021. Sul piano della sicurezza, le forze talebane si dimostrano incapaci di controllare efficacemente il territorio, con attacchi frequenti da parte di gruppi ribelli e jihadisti come ISKP, Afghanistan Freedom Front e National Resistance Front. A complicare ulteriormente il quadro, la presenza crescente di foreign fighters e il ruolo di base rifugio per estremisti in fuga da altre aree instabili della regione aumentano il rischio di ulteriore destabilizzazione, con ripercussioni anche per i Paesi vicini, come dimostrato dall’operazione che ha eliminato un membro di rilievo del Balochistan Liberation Army in Helmand, un segnale che le reti terroristiche regionali rimangono attive e pericolose. In parallelo, la comunità internazionale denuncia continue violazioni dei diritti umani, in particolare contro le donne, che minano ogni possibilità di normalizzazione con l’Occidente. Le restrizioni imposte alle operatrici umanitarie femminili e le dichiarazioni ambigue del regime talebano su una presunta futura apertura democratica suscitano più dubbi che speranze.

Uno scenario aperto a rischi di escalation

Il dossier di Bagram riporta dunque in primo piano una partita complessa, dove Washington non può ignorare né il consolidamento del potere talebano né la crescente influenza di Mosca e Pechino. La realtà sul campo è molto diversa dal 2001: l’Afghanistan non è più un teatro di occupazione militare, ma un crocevia strategico dove si intrecciano interessi geopolitici, economici e di sicurezza. Un tentativo americano di riprendere il controllo della base rischierebbe di scatenare una nuova ondata di conflitti e di attriti, non solo con il governo di Kabul, ma anche con Russia e Cina, che monitorano con attenzione ogni mossa nella regione. Per Mosca e Pechino, un ritorno massiccio di truppe USA sarebbe percepito come una minaccia diretta, con il rischio di una nuova escalation che potrebbe destabilizzare ulteriormente un’area già fortemente volubile. Inoltre, dal punto di vista militare, la rioccupazione di Bagram richiederebbe un impegno massiccio di risorse e truppe, difficile da giustificare in un’opinione pubblica americana stanca di conflitti prolungati e costosi. Le sfide di sicurezza, umanitarie e politiche interne al Paese rappresentano barriere significative per qualsiasi progetto di stabilizzazione e investimento.

L’Afghanistan è oggi un crocevia geopolitico che nessuna grande potenza può permettersi di ignorare, ma le difficoltà interne e il contesto regionale ne limitano fortemente le possibilità di sviluppo e pacificazione. Gli Stati Uniti, con la provocatoria riapertura del dossier Bagram, rilanciano un segnale forte nel “grande gioco” dell’Asia Centrale, ma dovranno fare i conti con una realtà più complessa e multipolare, dove Russia e Cina non stanno a guardare. Il futuro dell’Afghanistan, dunque, resta incerto e intrecciato alle dinamiche di potere che modellano il nuovo ordine internazionale. La partita è appena iniziata e potrebbe decidere il destino di una regione fondamentale per la sicurezza e la stabilità globale.

 di Riccardo Renzi

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