21 Giugno 2025
Danny Citrinowicz Fonte: X @citrinowicz
“Un’euforia che non si può giustificare” e un nemico, l’Iran, “enorme e resiliente”. È la voce di Danny Citrinowicz, già a capo della Divisione Iran dell’intelligence militare israeliana e oggi responsabile del programma Iran e Asse sciita presso l’Institute for National Security Studies, a mettere in guardia Israele, attaccando Netanyahu: colpire non basta, serve una strategia politica. E avverte: “Questa guerra ha costi altissimi” e “non sarà una campagna breve”.
Fra le voci più autorevoli in questo senso c’è quella di Danny Citrinowicz, a lungo capo della Divisione Iran dell’intelligence militare israeliana, oggi responsabile del programma Iran e Asse sciita per l’Institute for National Security Studies.
Durante un’intervista, Citrinowicz mette subito in chiaro che l’illusione di una rapida vittoria è fuori luogo: “Io non credo che gli Usa aspetteranno due settimane per decidere, anche se la loro è una valutazione complessa da fare: se entrano in guerra la possibilità che Fordow sia distrutta è reale, ma l’Iran risponderà anche su obiettivi americani o magari attaccando il traffico nello stretto di Hormuz, con pesanti conseguenze economiche. L’altra ipotesi è il negoziato: ma per arrivare a cosa? Ciò che pretendiamo ora è inaccettabile per l’Iran. Dunque, qualunque sia la strada, non vedo all’orizzonte una conclusione rapida”.
Alla domanda su quale sia allora la strategia di Israele, Citrinowicz risponde con preoccupazione: “Non mi pare che ce ne sia una buona sul tavolo: e questo mi preoccupa molto. Questa guerra ha costi altissimi, ci sono stime che parlano di un miliardo di dollari al giorno: mandare gli aerei fino all’Iran, i danni che stiamo subendo agli obiettivi colpiti, le armi che stiamo usando… Combattere contro l’Iran non è come combattere a Gaza. Abbiamo raggiunto il dominio dei cieli e inflitto danni notevoli al nemico: e adesso? Come andiamo avanti?”.
Sul tanto discusso obiettivo del “regime change” evocato dal primo ministro Netanyahu, l’ex capo dell’intelligence è netto: “Io non penso che uccidendo Khamenei il futuro sarà migliore. La Russia ha già detto che reagirà, avremmo contro gli sciiti di tutto il mondo, il regime potrebbe sopravvivere: alla fine la morte di Khamenei potrebbe fare il gioco dei nostri nemici”.
Il paragone con Gaza, secondo Citrinowicz, è più che legittimo: “Certo: è la stessa cosa. Siamo in grado di colpire e infliggere colpi mortali: ma poi, come chiudiamo? Senza un accordo politico non c’è modo da uscire da entrambe le crisi”.
E anche se da anni studia e analizza le dinamiche iraniane, sembra sorpreso dalla piega presa dal conflitto: “Nella cabina di regia ci sono Netanyahu e i suoi: ci sono anche le Forze armate, ma non sono certo che abbiano un’influenza reale. È una situazione problematica e credo che dovremmo ragionare su una soluzione politica. È vero, abbiamo inflitto danni importanti, ma da soli non siamo in grado di togliere del tutto all’Iran la sua capacità nucleare”.
Sulla retorica trionfalistica dei media israeliani, Citrinowicz è duro: “Un’euforia che non si può giustificare. La gente dimentica alcune questioni fondamentali: perché siamo arrivati a questo punto con l’arricchimento di uranio? Forse è accaduto anche perché Netanyahu ha spinto Trump a uscire dall’accordo sul nucleare? Il primo giorno è stato un successo, ma nelle guerre l’importante è come finisci, non come inizi”.
E proprio su questo punto, sul finale del conflitto, le sue parole suonano come un monito: “Questo non lo sa nessuno. Posso dirle che la situazione è molto più complessa di quello che il grande pubblico vede. Un Paese che ha resistito a dieci anni di guerra contro l’Iraq non si piegherà dopo dieci giorni di bombardamenti. L’Iran è enorme e resiliente, non abbiamo mai fronteggiato un nemico così: si capisce anche dai colpi che ci sta infliggendo”.
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