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Il paradosso dell’arma nucleare: se non ce l’hai sei debole (Iran), se ce l’hai sei inattaccabile (Corea del Nord)

La lezione è chiara: chi la possiede è intoccabile, chi non la possiede è vulnerabile. Questa logica non si ferma in Medio Oriente. Si estende ad Asia ed Europa

19 Giugno 2025

I Paesi del G7 disertano la commemorazione di Nagasaki perché non è presente Israele: una vergogna senza confini

Fonte pixabay

Il mondo è angosciato, nervoso, teso. In ansia per una inclinazione che, se non arrestata in tempo, ci porterà a valle con la forza distruttiva della valanga. Israele non è intoccabile, ingiudicabile. Nel tempo e nel luogo del Caos ognuno si muove col proprio peso. Netanyahu ha colpe gravissime e pesantissime e non c’entra più il 7 ottobre come chiodo dove appendere qualsivoglia azione.

Netanyahu ha la colpa di proseguire nella campagna di conquista di territori non suoi e chiede alla Storia di legittimarlo. Alla politica non chiede alcun permesso perché si sente sempre in credito, così tanto da trascinare gli Stati Uniti in una guerra - un’altra - che il resto del mondo non vuole, respinge, rifiuta.

Il regime degli ayatollah tiene imbullonati gli iraniani in una gabbia di privazioni e negazioni, dalla quale si esce solo per una spinta che parta dall’interno e dal basso. Pensare ancora una volta di replicare uno schema già fallimentare in passato è assurdo: dall’Iraq di Saddam alla Libia di Gheddafi, dalla Palestina dell’Olp alla Siria di Assad gli esempi si sprecano e vanno tutti nella stessa direzione, il peggioramento della situazione. Allora perché? Perché pensare di sostituire Khamenei nell’illusione ottica di fare il bene di una popolazione che, sotto le bombe, dovrebbe accogliere come liberazione la cacciata dei cattivi. L’equazione non riesce.

Il fattore democratico - che tanto starebbe a cuore ai liberatori - presuppone che vi sia una spinta dal basso e una guida che la elabori. Netanyahu ha chiesto ai giovani e agli iraniani di ribellarsi. Ma la ribellione è per il bene dell’Iran, non per il riconoscimento della superiorità di Israele. Perché il linguaggio delle armi griffate con la Stella di David porta a questo.
Vedremo cosa farà la Casa Bianca, se cioè prevarrà l’idea autentica di Donald Trump o se vincerà quel Deep State che spinge per il conflitto, nell’illusione di riprendersi un po’ di quello smalto ormai consumato: dopo la Seconda Guerra Mondiale gli Stati Uniti non hanno più vinto una guerra, sempre un fallimento. Ha ragione l’anima Maga che vuole stare alla larga dai conflitti; ha torto l’anima neocon: perché illudersi ancora una volta di esportare la democrazia con le armi?

Il registro di Trump è geoeconomico più che geopolitico, come dimostra anche l’ultimo tour nei Paesi del Golfo arabo dove si era spinto persino a congelare la propria posizione verso Al Jolani, oggi leader della nuova Siria ma fino a ieri punta di diamante del terrorismo jihadista, dalle cui reti partì l’attacco alle Torri Gemelle. Trump è riuscito a aprire una linea di credito persino con loro. Trump nella terra degli emiri: la pace si costruisce negli affari e con gli affari (vedremo se anche nell’errore di non vedere il demonio che si nasconde in essi).

Trump avrebbe voluto una interlocuzione persino con l’Iran e Khamenei ha sbagliato a non approfittare della finestra negoziale per evitare l’allineamento tra Donald e Bibi. I quali non sono strutturati per tale posizione. Ora però potrebbero doverlo fare. Israele trascinerà l’America in una guerra che non risolverà un bel niente, anzi smonterà ancor più il niente che resta del diritto internazionale. E lo farà perché nell’Amministrazione Usa gli interessi dell’industria militare sono ben stratificati.

Non c’è nulla che abbia una logica se la Casa Bianca decidesse di entrare in guerra, nemmeno la presunzione di convincere che il reset nucleare iraniano sia ragionevole e doveroso. Non c’è una prova che l’Iran abbia l’arma nucleare o che la possa davvero realizzare nel giro di tre anni; e fino a pochi mesi fa questa era la verità delle stesse autorità americane di Intelligence. Ora si afferma il contrario ma chissà come mai la maggioranza delle persone sente nelle orecchie le verità propagandate illo tempore da Colin Powell per invadere l’Iraq. Ma qui a rischio non è soltanto l’equilibrio della regione, in gioco c’è la ragione sociale della non proliferazione nucleare, il cui trattato (tnp) non è stato firmato da Israele ma dall’Iran sì, sebbene il suo comportamento sia stato a lungo ambiguo nello scambio di informazioni. Israele è convinta - per presunzione, cioè senza prove - di doversi difendere dal rischio nucleare: ieri era l’Iraq oggi l’Iran. Quindi attacca, aggredisce per neutralizzare una opzione sul tavolo.

L’altro giorno l’ambasciatore Ettore Sequi, sulla Stampa, ha scritto: “Questa dottrina solleva un paradosso strategico: colpire il regime iraniano prima che esso superi formalmente la soglia nucleare militare può rafforzare in Iran l'argomento che solo la bomba garantisce l'immunità contro un'aggressione esterna. E se questo è il calcolo a Teheran, esso può presto valere anche altrove: Arabia Saudita, Turchia, Egitto, non per usarla, ma per non essere gli unici a non averla. È la logica della deterrenza della sfiducia, in un contesto dove il diritto non basta più a garantire sicurezza. L'Ucraina lo dimostra: nel 1994 rinunciò al proprio arsenale nucleare in cambio di garanzie sulla sua integrità, poi crollate con l'invasione russa. La Corea del Nord, uscita dal Tnp, che invece la bomba l'ha costruita, non è mai stata attaccata. La lezione è chiara: chi la possiede è intoccabile, chi non la possiede è vulnerabile. Questa logica non si ferma in Medio Oriente. Si estende ad Asia ed Europa”.
Concordo e tanto basta per essere assolutamente preoccupati.

di Gianluigi Paragone

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