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Guerra Israele-Iran: Trump doveva portare la pace ma è l'unico presidente a non aver fermato l'attacco da parte di Netanyahu

Per decenni gli occupanti della Casa Bianca hanno frenato Israele e i neoconservatori in casa. Il metodo Trump si rivela un fallimento

15 Giugno 2025

Caccia israeliano

fonte: Imagoeconomia

Un drammatico fallimento. Proprio quando erano riprese le trattative tra gli Stati Uniti e l'Iran, Israele decide di scatenare l'attacco devastante che aveva preparato da anni. Anzi, da decenni, se ascoltiamo le parole di Benjamin Netanyahu. Infatti, è dal 1996 che il premier israeliano ammonisce che Teheran è "vicina" alla bomba nucleare, e quindi che occorre passare all'azione militare per fermarla.

Finora, in tutto questo tempo, i presidenti americani si erano sempre opposti al bombardamento, con approcci diversi ma un risultato unico: stoppare le ambizioni di guerra di Netanyahu, con le buone o con le cattive. I democratici hanno cercato l'accordo, con Barack Obama che ha siglato il JCPOA nel 2015, garantendo limiti importanti e attività di monitoraggio del programma nucleare civile iraniano. Donald Trump, spinto dai neocon a Washington (che invece aveva promesso di contrastare), ha rotto l'accordo e adottato una postura più aggressiva, con la "massima pressione" economica e pure l'assassinio del più importante generale del Paese, Qassem Soleimani, nel 2020.

Con l'inizio del secondo mandato, però, il Tycoon prometteva di raggiungere un altro accordo. Sembrava un esito difficile, considerando la sua retorica – minacciava la guerra in caso di mancata intesa – ma la storia di Trump permetteva di nutrire qualche speranza, grazie anche all'opposizione a un attacco dentro la sua stessa amministrazione. Il presidente aveva anche posto il veto ai piani di Netanyahu durante la sua visita alla Casa Bianca nello scorso mese di aprile. E con l'avvio dei nuovi negoziati, qualche progresso era emerso, con un maggiore realismo espresso dall'inviato americano sulla questione dell'arricchimento per scopi energetici.

Poi è arrivato l’assist dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, che ha varato una risoluzione accusando Teheran di non fornire spiegazioni soddisfacenti sulla gestione del combustibile nucleare. Sufficiente per tornare all'attacco, agli occhi di Tel Aviv. La realtà, però, è che l’intelligence, sia americana che israeliana, ha valutato in questi anni che l’Iran non sta cercando di sviluppare la bomba nucleare. È stato nel mese di marzo che Tulsi Gabbard, direttrice nazionale dell’intelligence scelta da Trump (e forte critica delle “élite politiche guerrafondaie”, per usare le sue parole di appena una settimana fa), ha confermato al Congresso l’assenza di un programma nucleare militare in Iran.

Alla fine, però, Trump ha ceduto a Netanyahu. In un primo momento, l’amministrazione americana ha dichiarato di non aver nulla a che fare con l’attacco, ma dopo appena un giorno il presidente si è lasciato andare, dicendo che, siccome l’Iran non aveva accettato le sue condizioni, allora si meritava l’attacco da parte di Israele. E gli aiuti militari e logistici da parte degli Stati Uniti sono evidenti; senza il supporto americano (e l’ok per usare le armi fornite) Israele sarebbe troppo esposto ai rischi di ritorsione. Dunque, che fine fanno tutti i proclami contro i neoconservatori, le promesse di porre fine alle guerre rapidamente? Si può ancora credere che il metodo Trump rientri nella “teoria del pazzo”, cioè che lui lancia le provocazioni per disorientare il nemico, ma che alla fine cerca sempre la pace? Sembra proprio di no. Fare diplomazia non è un gioco da ragazzi; quando si pongono degli ultimatum, quando si minacciano i bombardamenti se l’altra parte non si piega completamente, il risultato è la guerra. In questo caso, la guerra che Netanyahu e i falchi a Washington volevano da tempo, ma che ogni presidente americano era riuscito a evitare. Su questo punto, Donald Trump si mostra il presidente più debole degli ultimi trent’anni.

di Andrew Spannaus

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