Martedì, 21 Ottobre 2025

Seguici su

"La libertà innanzi tutto e sopra tutto"
Benedetto Croce «Il Giornale d'Italia» (10 agosto 1943)

Usa, Trump comincia ad affinare la strategia dei dazi: accordi per combattere la Cina e produrre in America

Rimangono i rischi per l'Europa, ma gli obiettivi enunciati dal Tycoon offrono una chiave per la trattativa

24 Maggio 2025

Trump, la Camera pubblica la sua dichiarazione dei redditi. L'ira dell'ex presidente Usa

Donald Trump, Fonte: Imago

La notizia che ha sconvolto l'Europa in questi giorni è stato l'annuncio del presidente americano Donald Trump, che intende applicare dazi del 50 per cento sui prodotti provenienti dall'Unione Europea a partire dal primo giugno. Si tratterebbe, naturalmente, di un colpo pesante all'interscambio con gli Stati Uniti, che tra l’altro è ancora più importante di quello tra USA e Cina. È facile capire che questa mossa fa parte della strategia negoziale del Tycoon: minacciare – e anche applicare in via temporanea, se necessario – misure pesanti per ottenere di più dalla controparte. E, per quanto risulti difficile di fronte a uscite del genere, occorre tenere sempre presenti gli obiettivi generali di Washington.

Questi obiettivi cominciano a diventare più espliciti e coerenti da parte della nuova amministrazione Trump. Infatti, negli ultimi annunci – l’intesa preliminare con il Regno Unito e la serie di accordi con l’Arabia Saudita e il Qatar – torna ad emergere con chiarezza l’elemento geoeconomico: in entrambi i casi gli americani hanno insistito su misure per escludere la Cina dai nuovi sviluppi che avverranno nelle rispettive economie. Ai sauditi, per esempio, si offrono microchip e partnership nel settore dell’intelligenza artificiale e del cloud, a patto di tenere fuori Pechino.

Questa strategia è evidente a Washington da diversi anni ormai – per esempio con le restrizioni applicate dall’amministrazione Biden sui semiconduttori – ma proprio per questo motivo le richieste dell’amministrazione attuale risultano più coerenti rispetto agli annunci un po’ a casaccio dell’inizio di aprile. Anche nelle trattative con l’Europa si insiste sulla linea dura verso la Cina, che secondo i negoziatori di Bruxelles non dovrebbero rappresentare un punto di scontro tra le parti.

Piuttosto, le differenze più importanti riguardano vari aspetti della regolamentazione europea per i prodotti americani: la tassazione, le norme per accedere al mercato unico e anche le azioni antitrust contro le società big tech. Su questi punti Trump agisce in modo trasparente, volendo favorire le aziende americane, ma anche contraddittorio. Cioè, mentre all’interno del Paese la sua amministrazione continua le battaglie antitrust contro società come Microsoft e Google iniziate dal presidente Biden, all’esterno si vuole fare il possibile per evitare restrizioni sulla loro attività. L’Europa dovrà decidere su quali aspetti tenere il punto, e su quali cedere qualcosa nell’interesse di raggiungere un accordo.

Come linea generale, Trump ha ora espresso un principio in parte ragionevole, anche se di difficile attuazione nel breve e medio termine: bisogna produrre in America per vendere in America. Chiaramente non può applicarsi a tutti i settori, ma laddove possibile rappresenta una visione che ripristina il rapporto tra l’attività manifatturiera e la società in cui viene condotta, obbligando a ragionare su aspetti oltre il solo profitto per gli azionisti. Un esempio recente è quello dell’iPhone di Apple: il Tycoon minaccia dazi del 25% se la società non comincerà a produrre negli USA i telefoni che intende vendere negli USA. C’è una questione di costo, ovviamente: occorre capire se sarà possibile riorganizzare la produzione senza far schizzare in alto il prezzo dei prodotti. I collaboratori del presidente, comunque, fanno notare che molte delle grandi multinazionali sono in un periodo di profitti record, quindi un po’ di margine per pensare agli effetti sociali e politici esiste.

Infine, c’è da registrare il dietrofront del presidente sull’acquisizione della storica società US Steel da parte della giapponese Nippon. La transazione era stata bloccata per considerazioni elettorali – con critiche di stampo nazionalista sia da parte di Biden e Harris, sia dal campo di Trump. Ora il Tycoon annuncia che si potrà andare avanti con una nuova partnership, allo scopo di iniziare investimenti di 14 miliardi di dollari negli Stati Uniti. E le condizioni per garantire l’“americanità” ci saranno, nonostante l'influenza della proprietà giapponese: i manager e i consiglieri di amministrazione saranno a maggioranza americani, e lo stesso governo vigilerà sul rispetto di un accordo in merito alla sicurezza nazionale in via di preparazione tra le parti.

Prese insieme, queste ultime azioni indicano una direzione più chiara di Trump sui dazi, ora che è stato convinto della dannosità di aver cercato di mettersi in guerra con quasi tutto il mondo. Gli obiettivi strategici rimangono: dal contrasto alla Cina alla ricostruzione delle industrie manifatturiere. Rimangono ancora tanti tasselli per sviluppare una vera politica industriale in America degna di questo nome. Tuttavia, con un quadro più definito, anche l’Europa potrà ragionare su come mettersi d’accordo con il Tycoon, sapendo che occorre puntare sugli obiettivi generali che guideranno la politica americana nel prossimo periodo.

Di Andrew Spannaus

Il Giornale d'Italia è anche su Whatsapp. Clicca qui per iscriversi al canale e rimanere sempre aggiornati.

Commenti Scrivi e lascia un commento

Condividi le tue opinioni su Il Giornale d'Italia

Caratteri rimanenti: 400

Articoli Recenti

x