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Usa, va avanti il caso antitrust contro Meta, la continuazione bipartisan del tentativo di limitare lo strapotere delle Big Tech

Mark Zuckerberg si è presentato in tribunale per difendere il controllo di Instagram e Whatsapp, negando di limitare la competizione

15 Aprile 2025

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Mark Zuckerberg, fonte: imagoeconomica

Negli Stati Uniti la Federal Trade Commission (FTC), organo statale deputato a proteggere i consumatori e prevenire i monopoli, sta portando avanti i casi legali contro le società del Big Tech. Il 14 aprile il fondatore di Facebook — oggi Meta, società che controlla varie altre piattaforme digitali — è apparso in tribunale a Washington, D.C., per difendersi dalle accuse di soffocare la competizione grazie al controllo anche di Instagram e WhatsApp.

Il caso è il primo a essere portato avanti dall'amministrazione Trump, e mostra che la spinta antitrust iniziata negli anni di Biden non è morta, nonostante la storica propensione del Partito Repubblicano a difendere le grandi società contro le azioni dello Stato. Significa che le posizioni populiste nel governo attuale, il cui rappresentante più importante è il vicepresidente JD Vance, non sono solo di facciata — almeno in questo campo.

È stato Vance, infatti, a spingere per la nomina dell'attuale capo della FTC, Andrew Ferguson, figura appoggiata anche da una politica democratica molto attiva nel contrastare lo strapotere delle grandi corporation: la senatrice Elizabeth Warren. Anche all'interno del Dipartimento di Giustizia ci sono state nomine significative in questa direzione, come quella di Gail Slater, ora vice ministro della Giustizia per l'antitrust.

Durante l'amministrazione Biden era partita in grande stile la campagna contro i giganti della Silicon Valley, grazie in particolare all'allora capo della FTC, la giovane esperta di antitrust Lina Khan. Invece di lodare il successo di alcuni individui nel diventare estremamente ricchi e influenti, ha promosso l’idea che la riduzione della concorrenza generi enormi conflitti di interesse e danneggi il pluralismo economico.

Basti pensare a una società come Amazon, che controlla la piattaforma su cui si vendono moltissimi prodotti, può decidere chi viene favorito su quella stessa piattaforma, e gestisce una grande percentuale dell’infrastruttura necessaria per restare online. Per non parlare del fatto che Jeff Bezos è anche proprietario del Washington Post.

È noto anche il caso di Elon Musk, le cui attività spaziano ormai dall’automobile ai grandi contratti con lo Stato per lo spazio e la fornitura di Internet, dal controllo della piattaforma X al suo ruolo nel tagliare il personale del governo federale. La visione non è contraria all’impresa privata, ma si cerca di comprendere come evitare che soggetti di tale portata possano bloccare l’innovazione e l’iniziativa imprenditoriale nel mercato.

È proprio questo il rischio al centro del processo contro Meta. Lo Stato afferma che la società abbia creato un monopolio acquistando alcune piattaforme quando erano ancora start-up, come parte di una strategia volta a eliminare ogni minaccia al suo dominio del mercato. È un argomento che potrebbe segnare un cambio di fase, costringendo le Big Tech a scorporare le proprie attività piuttosto che accentrare tutto sotto un’unica struttura.

Nel caso specifico, Meta potrebbe anche uscirne indenne, poiché la stessa FTC aveva approvato le acquisizioni di Instagram e WhatsApp oltre dieci anni fa, e oggi si trova a dover argomentare contro una propria decisione passata, dimostrando un cambiamento sostanziale nelle condizioni di mercato. Tuttavia, nessuno nella Silicon Valley può ignorare il segnale: la nuova amministrazione repubblicana non sembra intenzionata ad abbandonare la linea antitrust aggressiva adottata dalla Casa Bianca durante la presidenza Biden. Il caso Meta rappresenta il secondo segnale in questo senso, dopo che il Dipartimento di Giustizia ha recentemente confermato la proposta di costringere anche Google a dividere le proprie attività, in seguito alla sentenza dell’anno scorso che ha stabilito la necessità di contrastare il monopolio della società sulle ricerche online.

di Andrew Spannaus

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