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Le stranezze del riarmo europeo, dalla deroga alle regole di bilancio al coinvolgimento dei partner esterni

Londra e Parigi spingono sull'acceleratore, con l'aiuto di Bruxelles ma i dubbi di Washington e Mosca

09 Marzo 2025

Ursula von der Leyen

Ursula von der Leyen (fonte: Lapresse)

Una "coalizione dei volenterosi" per difendere l'Ucraina dopo il congelamento della guerra con la Russia. È questa la formula un po' particolare annunciata dal premier inglese Keir Starmer dopo il vertice di Londra della scorsa settimana sulla difesa dell'Ucraina. Un nome che richiama la coalizione assemblata per la guerra in Iraq del 2003, oggi considerata disastrosa anche negli stessi Stati Uniti.

Si tratta di un passo verso la tanto discussa difesa europea? Negli ultimi giorni sono emersi senz'altro degli elementi di novità, alcuni sorprendenti e altri meno, che comunque segnano una nuova fase per l'Europa. La domanda da porsi è quanto questo processo rifletta effettivamente gli interessi delle nazioni europee, piuttosto che rappresentare un'opportunità per approfittare del momento di incertezza e promuovere un'agenda cara soprattutto ad alcuni paesi specifici.

 

Intanto, c'è da registrare un cambio di passo in termini di finanziamento. Bruxelles ora intende procedere con un piano di riarmo da 800 miliardi di euro, riconoscendo il grave ritardo nella produzione bellica, almeno rispetto a quanto è riuscita a dimostrare la Russia negli ultimi anni. Infatti, al di là di tutte le chiacchiere su come l'economia russa sia piccola e debole, la realtà è che riesce a produrre più armi dell'Europa e degli Stati Uniti messi insieme, almeno nei settori chiave della guerra attuale in Ucraina.

In ogni caso, la decisione di escludere le spese per la difesa dal calcolo del Patto di stabilità rappresenta un passo significativo. Per gli economisti liberali, si tratta di una deroga temporanea alle regole monetarie; per chi privilegia l'economia reale, invece, dimostra che, quando c'è la volontà politica, i parametri di spesa pubblica si rivelano per quello che sono: costrizioni artificiali che non riflettono le reali necessità degli Stati membri. Da questo punto di vista, è un passo in avanti interessante, perché apre a un nuovo modo di concepire la spesa pubblica, ma allo stesso tempo una sorta di beffa, visto che elementi essenziali per la società, come sanità, istruzione e infrastrutture, non vengono considerati allo stesso modo.

C'è poi la particolare conformazione che sta assumendo la nuova iniziativa militare dal punto di vista operativo. In primo luogo, colpisce il fatto che il vertice del 2 marzo si sia tenuto a Londra, un paese che non fa più parte dell'Unione Europea. Evidentemente, il Regno Unito vede in questa occasione la possibilità di rientrare come attore centrale da questa parte dell'Atlantico, puntando a recuperare il suo ruolo storico nella "geopolitica", in cui è essenziale evitare un'alleanza tra la Russia e le potenze dell'Europa continentale.

Mentre a Washington si pensa a riprendere i rapporti con Mosca, a Londra torna invece centrale il concetto dell'equilibrio di potere. Del resto, già nell'aprile 2022, quando si era quasi raggiunto un accordo per fermare il conflitto dopo poche settimane, fu proprio l'allora premier Boris Johnson a spingere su Kiev affinché proseguisse con la guerra.

Anche la Francia vuole approfittare della situazione attuale per realizzare il suo sogno di porsi alla guida dell'Europa militare. Insiste per inviare truppe in Ucraina e ora propone persino di diventare il garante della sicurezza dell'UE grazie al suo arsenale nucleare. Sembra un tentativo di superare le (legittime) preoccupazioni degli altri Stati europei riguardo a un predominio francese nella politica di difesa e, di riflesso, anche in quella estera.

Dall'altra parte, nemmeno la Russia si fida della configurazione emergente. Putin non vuole una presenza militare esclusivamente europea in Ucraina, mentre potrebbe mostrarsi più flessibile se venissero coinvolti altri paesi. Per questo motivo, la Turchia, pur essendo un membro della NATO, partecipa attivamente alle discussioni, grazie anche agli ottimi rapporti che intrattiene con Mosca. Si ipotizza persino che possa assumere il comando di un futuro contingente di pace.

Non mancano altri candidati a partecipare, come Canada e Norvegia, mentre sono in corso contatti anche con Giappone, Australia e India. Allargare l'iniziativa ad altri paesi meno schierati potrebbe essere un modo per tranquillizzare Mosca, che non si fida delle intenzioni di Francia e Regno Unito. In questo, potrebbe trovarsi in buona compagnia con Washington e alcune altre capitali europee.

Di Andrew Spannaus

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