21 Giugno 2024
Commissione europea (foto Pixabay)
A Bruxelles non riescono a cambiare. Dopo la sospensione del Patto di stabilità durante il periodo della pandemia, ora si torna alla solita visione dei conti pubblici, cioè che deficit e debito vanno combattuti in ogni modo a prescindere dagli effetti sull’economia reale.
La Commissione europea ha annunciato l’apertura di una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia e di altri sei paesi. L’obiettivo, naturalmente, è di far ridurre la spesa pubblica per rientrare nei parametri fissati dall’Europa come linee guida per il bilancio degli Stati. Questo comporterà per l’Italia - almeno in teoria - manovre economiche con tagli di almeno 10-12 miliardi di euro ogni anno per rientrare nei parametri entro sette anni, come previsto dalle nuove regole.
Questa politica indica un ritorno alla follia. Non c’è alcun motivo per cui un’economia avanzata debba ridurre drasticamente la spesa pubblica, se non per soddisfare una teoria arbitraria sulla necessità di avere un bilancio in pareggio o quasi. Arbitraria, perché in realtà serve proprio immettere nuove risorse nell’economia se si vuole vedere la crescita. Togliere risorse, invece, è garanzia di deprimere l’attività economica e di rendere la vita più difficile, soprattutto per le fasce meno abbienti del paese.
L’obiezione consueta è che fare spesa pubblica significa prendere in prestito i soldi da qualcuno, dai cittadini, dai mercati finanziari, o anche dai cinesi. Ma non è così. Se una nazione, o in questo caso una federazione di nazioni, funziona in modo corretto, allora utilizza la propria banca centrale per fornire all’economia le risorse che servono. Non si tratta di togliere soldi da qualcun altro, ma di aumentare la moneta allo scopo di sostenere la crescita della produzione e dei servizi.
C’è sicuramente la questione degli interessi, ma anche questo aspetto andrebbe rivisto, in quanto la banca centrale è in grado di neutralizzare anche questa spesa (come spiegherò nel mio libro che uscirà nel mese di ottobre). Non lo fa solo per motivi politici, cioè perché l’Europa è aggrappata all’idea del vincolo esterno, secondo cui serve il controllo sovranazionale dei conti per evitare che paesi come l’Italia siano irresponsabili e non seguano i dettami del liberismo globalizzato.
Il Commissario europeo Paolo Gentiloni afferma che non c’è sicuramente un ritorno all’austerità, in quanto sarebbe “un terribile errore”. Eppure, sembra proprio questa la strada imboccata dall’Unione Europea: chiedere agli Stati membri di tagliare il proprio bilancio per soddisfare la fissazione monetarista dei parametri concepiti originariamente dal Trattato di Maastricht del 1992. Come si pensa di non fare danni chiedendo ai governi di fare tagli consistenti ogni anno, non è proprio dato sapere.
Come membro dell’Unione Europea, l’Italia ha l’obbligo di trattare con la Commissione in merito alle proprie spese. Ma il periodo della pandemia ha dimostrato chiaramente che, quando c’è una vera necessità, è possibile fare spese straordinarie senza particolari problemi, se, appunto, la Banca centrale europea fa il suo lavoro di garantire la stabilità dei mercati del debito, anche attraverso l’immissione di nuova moneta. Gli unici vincoli veri sono di indirizzare questi soldi verso attività produttive, non speculative, onde assicurare un aumento della ricchezza reale. La storia recente dimostra, però, che è praticamente impossibile raggiungere il tipo di riduzione richiesta dall'Europa senza tagli lineari che impattano sulla popolazione in generale.
A questo punto, forse sarebbe il caso per l’Italia, come per gli altri paesi oggetto della procedura d’infrazione, di opporsi al ritorno al modello vecchio e dannoso nel controllo dei conti come predicato a Bruxelles, e invocare l’impossibilità di prendere decisioni che avranno effetti deleteri sulla propria economia e la propria popolazione. Sarebbe una mossa sicuramente azzardata, ma l’alternativa è di accettare un percorso che ovviamente farà male al paese.
di Andrew Spannaus
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