26 Marzo 2024
Fonte foto: Ruteca FB
“Nella nostra città il mese di marzo è instabile. Ma questa volta fa un caldo insolito. Si può uscire senza giacca la sera e stare all’aperto per ore. Noi tre andiamo a rifugiarci quasi sempre tra le mura dell’antica fortezza. Si trova alla confluenza di due grandi fiumi e per me, molto orgoglioso di essere cresciuto in una città così importante per la Storia, quel posto sulla sommità della città vecchia è il centro del mondo. Portiamo qualche lattina di birra e la chitarra acustica e, dopo aver fumato due o tre spinelli, le notti di primavera diventano magiche.
Quella sera Miloš ci ha detto che entro pochi giorni la NATO avrebbe potuto bombardarci. Dice di aver sentito la notizia al telegiornale. Nessuno di noi vuole credere alle sue parole, anzi, scoppiamo in una grassa risata. Non posso neanche immaginare che un altro paese bombardi il nostro. È qualcosa di surreale. Per quanto ne so, la NATO è un’alleanza, non rappresenta un paese solo e sarebbe molto ingiusto se ci schiacciasse con la forza.
Verso la fine di marzo abbiamo smesso di salire alla fortezza perché le bombe che cadono sulla nostra città sono molto vicine. I missili si possono vedere a occhio nudo”.
Per scrivere il mio libro Il pioniere, pubblicato nel 2021, ci ho messo poco tempo, qualche mese durante la pandemia. Tuttavia, ci sono voluti molti anni, più di venti, per capire cosa fosse successo nel mio ex paese, che non mi piace neanche definire in questo modo. Però, il fatto è che la Jugoslavia non esiste più e che io, una volta jugoslava, oggi sono serba. Oltre a riflettere e provare a cercare le cause di ciò che è successo, ho sempre cercato il coraggio di raccontare come ci si sente quando si è giovani e si è coinvolti in una guerra di cui praticamente non si capisce nulla.
Il mio vicino di casa dell’epoca - ai tempi vivevo con i miei genitori e mia nonna - una volta disse che avremmo dovuto "ammazzare tutti gli albanesi kosovari". Da quel giorno mia nonna non ha più voluto parlare con lui. In quel periodo ero indecisa se tingere i capelli di rosso o diventare bionda. Dovevo anche decidere cosa indossare in occasione della festa per il diploma di maturità, dato che mancavano solo pochi mesi alla fine dell’ultimo anno del liceo scientifico che frequentavo. Un'altra indecisione riguardava la scelta dell'università a cui iscrivermi. Mi piaceva studiare biologia, ma desideravo anche diventare avvocato. A scuola non si parlava mai di politica. Solo pochi giorni prima che la NATO iniziasse a bombardare la Serbia discutevamo su ciò che sarebbe potuto accadere. Nessuno di noi credeva che una cosa del genere potesse realmente succedere.
Sembrava così impossibile che qualcuno dall'esterno potesse colpire il nostro paese. Eppure, persino i politici ci assicuravano che nessuno avrebbe bombardato la Serbia, coinvolta da anni nelle guerre più sanguinose in Bosnia e in Croazia, di cui i suoi cittadini sapevano poco o niente. Ma c'erano anche coloro che preferivano non sapere. Io sapevo solo che non ero colpevole quando, il 24 marzo 1999, la NATO lanciò le prime bombe sulla nostra città.
Increduli e con gli occhi spalancati, io, mia madre, mio padre e mia nonna abbiamo seguito l'ultima diretta del nostro ex presidente, il criminale di guerra Slobodan Milošević, che ha annunciato che eravamo in guerra con i paesi della NATO e che avremmo vinto. Dopo il suo discorso, l'elettricità è stata interrotta e ci siamo chiesti cosa avremmo fatto, dove ci saremmo nascosti. È stata la prima volta nella mia vita che ho visto i miei genitori completamente impotenti e mia nonna disperata. Siamo scesi in cantina insieme a centinaia di altre persone del palazzo in cui abitavamo. Ricordo quella prima notte in cui non riuscivo a dormire, sia per la paura sia per il rumore degli aerei.
Dopo una settimana non scendevamo più in cantina. Ci siamo trasferiti in una casa di vacanza di proprietà di amici dei miei genitori che vivevano all'estero, situata in un villaggio vicino alla città. Lì ci sentivamo più al sicuro, ma anche più agiati perché avevamo un grande giardino e persino un tavolo da ping-pong. Poi, naturalmente, abbiamo capito che gli aerei della NATO miravano soprattutto ai bersagli militari, tranne quando commettevano errori, per esempio quando hanno bombardato con le bombe a grappolo un parcheggio vicino a un ospedale nella città di Niš, causando molte vittime. Oppure quando colpivano uno dei ponti a Novi Sad mentre alcune macchine e civili lo attraversavano. Ma questi e molti altri incidenti venivano definiti "danni collaterali". All'epoca non ero credente, e neanche oggi lo sono, ma ammetto che pregavo ogni notte affinché io e la mia famiglia non diventassimo un "danno collaterale".
Durante il giorno, tra le partite a ping-pong e l'ascolto della piccola radio a batterie che trasmetteva le notizie su dove e quante bombe fossero cadute la notte precedente, non facevo molto altro in quei tre mesi di bombardamenti. Di notte dormivo poco per paura di morire improvvisamente nel caso in cui una bomba avesse colpito la casa che ci ospitava.
Una volta abbiamo visto un missile proprio sopra di noi. All'improvviso ha cambiato direzione e si è diretto altrove. Non so dove sia finito, ma ricordo che una bomba ha colpito una casa nel villaggio vicino al nostro, uccidendo un'intera famiglia. Un'altra volta, invece, sono andata a scuola per prendere il diploma. Quel giorno i bombardamenti erano così intensi che avevano colpito alcune fabbriche nelle vicinanze. Ricordo che mio padre era venuto a prendermi e che guidava verso casa con calma, come se nulla fosse. Col tempo, paradossalmente, ci si abitua. Ci si abitua persino alle bombe.
Quando il nostro presidente proclamò “la vittoria” contro la NATO, l'11 giugno 1999, fu il giorno più felice della mia vita, come se fossi nata di nuovo. Tuttavia, contemporaneamente, mi colse un'angoscia inspiegabile che durò per molto tempo. Per mesi non riuscii a dormire tranquilla e spesso sentivo il rumore degli aerei, anche quando non c'erano.
Per vincere la guerra contro la Serbia e fermare i massacri in Kosovo, gli aerei della NATO distrussero ottantadue ponti, quattordici centrali termoelettriche, tutte le raffinerie di petrolio, centoventi fabbriche, tredici aeroporti, venti stazioni ferroviarie. Hanno ucciso più di duemila civili, tra cui ottantanove bambini, e lasciato migliaia di feriti e invalidi. Hanno causato danni per cento miliardi di dollari e hanno provocato più di due milioni di disoccupati. Dati sconvolgenti per un piccolo popolo che da sempre si è creduto importante. Io ho capito che l'unica cosa importante nella vita è la vita stessa e che alcune ferite non guariscono mai.
Di Tatjana Dordevic
Fonte: Gariwo Mag
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