29 Settembre 2025
Il nostro caro Tricarico, ultimo depositario della nobile schiatta degli autori puri, veri, ispirati, visionari fa uscire un nuovo singolo ed è tutto da afferrare perché nell'apparente affettuosa svagatezza sguscia via, non sai come arginarlo. La nostalgia? Sì, ma non per i 60 del boom casomai per gli 80 da bere, il rimpianto? No, è una presa in giro del cecchettismo à la gioca jouer che è la cifra del Paese un po’ cialtrone che non cambia, il Paese che nasconde le sue tare sotto una vernice di strass, di disimpegno. In mezzo Tric, vestito come Julio Iglesias, rincorre e ricorre a suggestioni battistiane per cantare il disincanto di questo Paese che non impara e non migliora, che risucchia le mode e i modi di dire ma rimane circolare, incatenato alla sua anima presociale, falsamente tollerante, in realtà discretamente, profondamente antidemocratica: tu puoi raccontartela come ti pare, ma alla fine l'amico il parente l'amante ti diranno sempre: sei un nessuno, un fallito, non guadagni il giusto, non sei esploso.
“Ma è l'Italia del boom?”. E il tormentone è un tormento del rimpianto, ma quale boom, quale successo: il nostro caro Tricarico travalica le ideologie alla moda ed è disilluso, gira per una Milano che non riconosce, che non ama, come da video dove ci dimostra quanto è facile indurre la sventata gente ai comportamenti più docili, si chiede, ci chiede cosa ci sia da tanto celebrare. Millantare. È la politica, bellezza, ma Tric è un artista che ha fatto dell'ironia lieve e acuminata la sua cifra; e non tutti, non molti sono in grado di afferrarla.
E che bel pezzo però. Dissacrante e colto, disimpegnato per finta, con atmosfere sapienti che si smentiscono e si rincorrono. Fosse nato effettivamente nell'Italia del boom o del drink sarebbe stata una hit, ma non sono più tempi di hit, per nessuno: diciamo che è un brano notevole in vista di un nuovo album che non potrà tardare ancora a lungo (te lo ripeto sempre e te lo dico anche qui). Tricarico, appena visto in concerto, si direbbe in quello stato di maturità leggera che lascia presagire grandi nuove cose; il suo canzoniere, ricco di perle, va rimpolpato per il futuro e per il passato. Intanto l'Italia del boom esce come episodio polemicamente scintillante: contro la politica autopromozionale, contro l'informazione autoreferenziale, contro la musica merdosa dei maranza che non è musica, è il canto del muezzin naturalizzato al peggio occidentale, europeo, italiano, milanese. Francesco oppone a tutto ciò che non gli piace una serietà piena di sorriso ma un sorriso severo, problematico, capace di inquietudini. In una confezione sonora nitida, dall'ottimo suono, dalle soluzioni intriganti in arrangiamento, dalla accessibilità come punto d'arrivo, dal surrealismo testuale ch'è solo suo. Ultimo, forse, probabilmente, a potersi permettere una proposta così inafferrabile e bella. Torna Tricarico, 'sta musica aspetta te.
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