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Fiorenzo Galli (Museo della Scienza Leonardo Da Vinci): "in 24 anni mai avuto voglia di cambiare, qui è impossibile annoiarsi, e il bello deve ancora venire”

Alla guida del Museo della Scienza e della Tecnologia dal 2001, tra ricordi da marinaio ed esercitazioni da alpino: "Oggi il divenire è ancora più repentino, e noi rincorriamo sempre qualche novità"

18 Agosto 2025

Fiorenzo Galli, 24 anni al Museo della Scienza: "Mai avuto voglia di cambiare, è impossibile annoiarsi, e il bello deve ancora venire”

Al quarto piano dell’ex monastero degli Olivetani, nell’ufficio di Fiorenzo Galli passato e futuro convivono fianco a fianco: accanto ai progetti in corso – dal laboratorio sulla sostenibilità alla nuova sezione sull’acqua – trovano posto oggetti eccentrici e ricordi personali. Su uno scaffale spuntano Lilli e il Vagabondo in scala reale: «Sono i miei cani, Dexter il bastardone e Lilli», racconta Galli.

C’è anche un busto di Cristoforo Colombo «rubato dal museo poco dopo il mio arrivo, per vedere quanto ci mettevano ad accorgersene. Tre settimane», scherza. Poi un casco del Museo di Leonardo, gli abiti di Hulk sotto vetro e una planimetria del museo coperta di post-it, simile a quelle viste nei film d’indagine. Dietro la scrivania, una “galleria” personale con i ritratti dei suoi maestri di vita: da Indro Montanelli al capo dei monaci Zen di Kyoto, Noriake.

Chi è Fiorenzo Galli, direttore del Museo della Scienza e della Tecnologia Leonardo Da Vinci 

Fiorenzo Galli, 70 anni a ottobre, ex ufficiale degli alpini, con un passato da marinaio e un futuro da maestro di sci, dirige dal 2001 il Museo della Scienza e della Tecnologia. La sua giornata può spaziare dalla programmazione spaziale agli interventi su auto d’epoca sequestrate dalla magistratura, passando per acceleratori di particelle e treni a vapore.

Sovrintende a una collezione che conta ben 21.000 oggetti, di cui solo il 17% è esposto al pubblico. Coordina un team di 98 dipendenti e gestisce un bilancio annuale di 16 milioni di euro, «di cui il 17 per cento di fondi pubblici». Nel 2024 il museo ha superato i 600.000 visitatori, confermandosi una delle istituzioni culturali più vitali e frequentate.

Cominciamo dalla sua formazione. Dove ha studiato?

“A Milano per lo più al collegio San Carlo, ma ho cambiato scuola una dozzina di volte perché mio padre per lavoro si spostava. La terza media l’ho fatta in tre città: Milano, Uzio per via dello sci, e Santa Margherita. Fino alla maturità sono rimasto in Liguria perché mio padre aveva deciso di aprire un’altra azienda. L’operazione non andò in porto e subito dopo l’esame tornai a Milano”.

Università?

Quasi tutti gli esami li ho fatti in Cattolica, frequentandola poco. A un certo anno ero già fuori casa e per mantenermi facevo il marinaio a Cannes: si guadagnava bene, non si spendeva per l’affitto e mi lasciava tempo libero per studiare. Sono cresciuto a Santa Margherita: è sempre andato in barca. A 14 anni i miei genitori mi regalarono uno Zodiac 25 cavalli al posto del motorino, che non solo era molto più divertente, ma faceva anche di gran figura con le ragazze. Nel 1978 la società per cui lavoravo in Costa Azzurra mi portò al Salone Nautico di Genova dove presi i primi contatti con le aziende italiane e mi stabilii nel nostro Paese per sei mesi all’inizio dell’anno. Con quei soldi presi un anno sabbatico per laurearmi e poiché in Cattolica non accettarono la mia tesi mi sposai in Statale. Subito dopo partii per Aosta”.

Servizio militare negli alpini?

“Mi volevano mandare a Maddaloni, in provincia di Caserta, alla Scuola di amministrazione dell’esercito per la mia laurea economica, ma grazie a un amico di famiglia, Peppino Prisco, eroe di guerra, sono riuscito ad andare ad Aosta. Cinque mesi di corso e dieci da istruttore di sci e di addestramento al combattimento, che è meno trucé di quello che sembra perché insegna a non farsi ammazzare più che a uccidere. Sono stati mesi formativi per questo lo metto nel curriculum. Facendo l’ufficiale si impara che anche nei posti di responsabilità non ci sono privilegi. L’ufficiale apre la strada agli altri schiacciando la neve, con lo stesso carico da 50 chili sulle spalle e il colpo in canna. Erano gli anni delle Brigate Rosse e l’arma che avevamo in dotazione era molto ambita: era l’unica che passava la carrozziera delle auto. Bisognava non farsela rubare”.

Per un decennio e anni ha fatto l’imprenditore nel settore elettrotecnico nell’azienda di famiglia, poi ha cambiato strada. Come mai?

“Abbiamo chiuso l’azienda e in famiglia abbiamo tutti cambiato strada. A metà degli anni Novanta entrai nell’organizzazione Milano per la Scala che stava gestendo a transizione del teatro da ente pubblico a fondazione. Mi sono occupato del salvataggio dell’archivio fonico e del progetto di digitalizzazione con l’apertura del primo sito internet del teatro. Il mio ruolo si stava esaurendo quando nel 2000 Carlo Camerana, allora presidente del Museo della Scienza e della Tecnologia, mi chiese di fare il direttore: la sfida era riportare questo luogo a essere un grande museo internazionale. Carlo purtroppo morì un anno e mezzo dopo, ma la promessa doveva essere mantenuta, altrimenti che alpino sarei?”

Da allora sono passati 24 anni: non ha mai avuto voglia di cambiare?

“Mai, in questo museo è impossibile annoiarsi. Nel 1958 il nostro fondatore, Guido Ucelli, diceva: “È il museo del divenire del mondo”. Oggi il divenire è ancora più repentino, e noi stiamo sempre rincorrendo qualche novità”.

Uno degli oggetti simbolo del museo è il sottomarino Toti che arrivò a Milano il 14 agosto del 2005, 20 anni fa. Allora far viaggiare su strada un carico lungo 60 metri per 100 chilometri sembrava una follia, invece fu un grande successo. Se l’aspettava?

“Quando sono arrivato al museo Camerana aveva già firmato un accordo con la Marina militare per portare il sottomarino a Milano, mancava tutta l’organizzazione per trasferirlo via terra, da Cremona a Milano. Un’operazione complicatissima che ha richiesto un intenso lavoro di squadra di 4 anni che in più occasioni mi tolse il sonno. Ma i tre eroi che resero possibile il progetto sono l’ammiraglio Biraghi (ex capo di Stato Maggiore della Marina), Bruno Soresina (ex presidente di Atm) e Antonio Acerbo (ex direttore tecnico del Comune)”.

Per il museo è stata una grande campagna di marketing in un’epoca pre social.

“È vero, ma per me è stata soprattutto una straordinaria operazione di team building di un gruppo di giovani che in parte lavorano ancora al museo. Grazie al Toti hanno capito che insieme si potevano fare grandi cose”.

Il Toti è ancora la star del museo?

“L’enorme successo che ha avuto all’inizio si è assestato. Adesso è parte del percorso, insieme ad altri oggetti celebri e alle nuove Gallerie Leonardo, molto apprezzate”.

C’è un oggetto a cui è più affezionato?

“C’è, ma non lo dico. Sarebbe come chiedere al padre di dieci figli qual è il suo preferito”.

Nel 2027 scade il suo mandato. Progetti per il futuro?

“Volendo sono rinnovabile, anche se è ancora tutto da vedere”.

fonte: La Repubblica Milano 

 

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