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"I briganti", capolavoro del genere picaresco, una banda di migliaia di fuorilegge a combattere contro le ingiustizie

"I briganti" è un’opera da leggere non solo per immergersi nella parte più giocosa e vivace della letteratura e della cultura cinese, ma anche come un serio passatempo per assaporare le avventure di tanti eroi leggendari, capaci di affascinare con il loro coraggio, astuzia e umanità

25 Giugno 2025

"I briganti", capolavoro del genere picaresco, una banda di migliaia di fuorilegge a combattere contro le ingiustizie

Questa banda di fuorilegge, imbattibile e temuta, è capace di affrontare i più potenti eserciti, in battaglie che si muovono sul confine tra realtà e magia. La loro forza epica e quasi sovrannaturale contribuisce a rendere il romanzo una delle narrazioni più vivide e avvincenti dell'intera letteratura cinese. In effetti, la banda del Liang Shan si dimostrerà invincibile fino alla fine. Nessuna forza militare riesce a sconfiggerla: l’unico modo per porre fine alla sua ribellione è un’amnistia concessa direttamente dall’Imperatore, il Figlio del Cielo.

"I briganti" è un romanzo cinese risalente al XV secolo, ambientato negli ultimi anni della dinastia Song del Nord, intorno al 1100 d.C. L’opera completa è composta da 114 capitoli suddivisi in 25 volumi ed è considerata uno dei quattro grandi romanzi classici della letteratura cinese.

Il titolo originale è Shui Hu Zhuan (in cinese tradizionale: 水滸傳; in semplificato: 水浒; pinyin: Shuǐhǔ Zhuàn), che può essere tradotto letteralmente come Storia in riva all’acqua. In Italia è stato pubblicato con il titolo 'I briganti', ma è conosciuto anche con altri nomi, come Tutti gli uomini sono fratelli o Le paludi del monte Liang.

Durante l’epoca imperiale, la lettura di questo libro era malvista dalle autorità: ai funzionari del Celeste Impero sorpresi a leggerlo veniva sospeso lo stipendio per mesi. Questa forma di censura riflette chiaramente il carattere fortemente critico e ribelle dell’opera.

È la storia di migliaia di fuorilegge, uniti sotto la guida di 108 leggendari capi. Insieme formano la celebre Banda della Palude di Liang Shan, un rifugio per uomini straordinari: cavalieri erranti, ex ufficiali imperiali, eroi in cerca di uno scopo, assassini in fuga. Ognuno con un passato diverso, ma tutti mossi dallo stesso ideale — un po' come moderni Robin Hood —, combattere in nome della giustizia. Difendono i deboli, si oppongono agli oppressori, e sfidano l’ordine costituito per ristabilire un senso di equità in un mondo corrotto.

Lo definirei un romanzo senza trama, scritto "all'improvviso". D'altra parte è lo stesso autore Shih Nai-an di Loyang a scrivere nella prefazione: “Qualcuno forse mi chiederà ‘non sei stato capace di buttar giù le conversazioni coi tuoi amici; come ti sei lanciato a scrivere questo romanzo? Alla fine, hai dunque cercato la gloria?’ Ah no, ben lontano da questa vana aspirazione. E se non avessi scritto il libro, non ci si perderebbe nulla. L’ho scritto semplicemente per passare il tempo. È nato da sé, senza mia intenzione. Saggio o sempliciotto, ognuno può leggerlo e capirlo. Che si critichi lo stile, poco m’importa. Ho scritto il libro per me e per i miei amici, e basta che rechi piacere a noi. Purtroppo sono nato solo per morire. Che m’importa il giudizio dei posteri? So forse se nella mia esistenza futura io stesso ci terrò ancora, anzi se potrò ancora leggerlo?”.

L’Autore insomma lo scrisse quasi per gioco, come un divertissement, senza immaginare che quel romanzo sarebbe diventato uno dei Quattro Grandi Classici della letteratura cinese, nonché un capolavoro del genere picaresco. Certo, qua e là si avvertono delle ingenuità: la narrazione talvolta manca di una direzione chiara, alcune scene risultano ripetitive e i personaggi sono spesso tratteggiati in modo macchiettistico, con scarsa profondità psicologica.

Un esempio emblematico riguarda il personaggio di Lu Ta, un capitano che, dopo essersi macchiato di un omicidio, si rifugia nella vita monastica, diventando il celebre "Monaco di Ferro". Nei primi capitoli sembra proprio lui il protagonista designato della storia, ma poi scompare improvvisamente, per ricomparire soltanto nelle battute finali, quando si unisce alla Banda della Palude di Liang Shan.

Nonostante le ingenuità e alcune incongruenze, questo romanzo colpisce per il suo straordinario spirito narrativo e forse anche proprio per la sua semplicità e schiettezza. Scritto con un ritmo quasi teatrale, è un’opera ricca di azione che cattura il lettore sin dalle prime pagine. Pur nelle sue circa 700 pagine, almeno nell’edizione che abbiamo letto (Einaudi, 1956, a cura di Franz Kuhn, prefazione di Martin Benedikter, traduzione di Clara Bovero) la lettura scorre sorprendentemente fluida e coinvolgente. Tra battaglie epiche, intrighi, omicidi e momenti poetici l’opera si dipana con una vivacità che la rende un’esperienza avvincente.

È interessante notare il legame tra quest’opera e un altro grande romanzo della tradizione cinese, Ching P’ing Mei. Nell’edizione originale de I Briganti — purtroppo assente in quella italiana — compare infatti la scena completa dell’uccisione di Loto d’Oro da parte di Wu Sung, che si conclude con la sua fuga dalla giustizia. Ed è proprio Wu Sung, “il celebre uccisore di tigri”, a riapparire nel finale del romanzo, quando si unisce alla leggendaria banda del Liang Shan.

Questa banda di fuorilegge, imbattibile e temuta, è capace di affrontare i più potenti eserciti, in battaglie che si muovono sul confine tra realtà e magia. La loro forza epica e quasi sovrannaturale contribuisce a rendere il romanzo una delle narrazioni più vivide e avvincenti dell'intera letteratura cinese. In effetti, la banda del Liang Shan si dimostrerà invincibile fino alla fine. Nessuna forza militare riesce a sconfiggerla: l’unico modo per porre fine alla sua ribellione è un’amnistia concessa direttamente dall’Imperatore, il Figlio del Cielo. Graziati per decreto imperiale, i banditi vengono reintegrati nella legalità e arruolati nell’esercito imperiale. Così, da fuorilegge diventano eroi di Stato, offrendo un contributo decisivo nella lotta contro i Tartari, in una svolta che unisce redenzione personale e fedeltà ritrovata all’Impero.

Il protagonista del romanzo è Sung, noto come il “Donatore di Pioggia dello Shantung”. Inizialmente scrivano, la sua vita prende una svolta drammatica quando, coinvolto in un

delitto, è costretto a fuggire, senza più una meta. È proprio questa condizione di esilio che lo conduce a unirsi alla banda del Liang Shan.

Fin da subito, Sung si distingue per la sua straordinaria rettitudine. Tutti ne riconoscono l’integrità morale e la rara capacità di giudizio e per questo diventa capo supremo: è un uomo saggio, riflessivo, sempre pronto a difendere i più deboli e a guidare con equilibrio. Il suo senso innato della giustizia lo rende una figura centrale nella banda, non solo come stratega, ma come punto di riferimento etico per tutti i suoi compagni. Forse il suo personaggio s’ispira a Sun Cheng (cinese: 孫程). Morto nel 132 d.C., fu eunuco di corte, generale e figura politica di rilievo durante la dinastia Han. A differenza dello stereotipo degli eunuchi Han, spesso descritti come corrotti e bramosi di potere, Sun Cheng si distinse per la sua lealtà verso la famiglia imperiale. Fu uno dei pochi a opporsi sinceramente alla crescente corruzione che permeava la corte, anche se i suoi sforzi per riformare il sistema si rivelarono, purtroppo, vani. Sun Cheng morì lontano dalla corte, a Samarcanda. Era convinto che, attraverso i suoi discepoli, l’Impero avrebbe trovato protezione e continuità anche dopo la sua morte. Tuttavia, i suoi allievi rimasero in Occidente, lontani dal cuore del potere.

A Luoyang, la situazione migliorò lievemente. L’Imperatore Shun Di sposò l’intelligente e affascinante imperatrice Liang Na, grande estimatrice del pensiero di Sun Cheng. Proprio per questo, il Figlio del Cielo affidò l’incarico di primo ministro al padre di lei, che fu soprannominato, appunto, Liang Shan. Anche lui ammirava Sun Cheng, ma non ne possedeva né la lucidità politica né la fermezza morale. Nonostante ciò, tentò con impegno di riportare un po’ d’ordine e di equilibrio nel fragile e travagliato Impero Han. Difficile non rintracciare in questa storia un riferimento al romanzo.

Una citazione dall’opera: “Quel Tonante dirigeva il reparto d’artiglieria nelle imperiali officine d’armi ed era reputato il primo del suo mestiere in tutto l’impero. Appena il maresciallo Kao ebbe udita la relazione dell’ambasciatore, lo fece chiamare, lo nominò vice-comandante, gli consegnò il decreto di nomina e lo spedì al campo senza indugio. Ling Chen caricò su alcuni carri i suoi arnesi pirotecnici, le sostanze esplosive, bombe e palle di cannone, affusti e pezzi d’artiglieria; indossò l’armatura e con le salmerie e una scorta di quaranta uomini s’incamminò presso la palude del Liang Shan. Egli s’informò delle distanze e della natura del terreno, quindi piantò le sue artiglierie in un punto adatto, sulla riva di fronte alla spiaggia del Becco d’Anitra. Per sparare scelse tre tipi di proiettili: le granate ‘vento e fuoco’, le bombe ‘ruota d’oro’ e quelle ‘madre e figli’. Presso il bastione, sulla Spiaggia del Becco d’Anitra, Sung stava di nuovo discutendo senza profitto con Luce d’Astuzia, quando fu dato l’allarme: - Dalla capitale d’Oriente è arrivato il Tonante, il maestro d’artiglieria, e ha puntato i suoi pezzi sull’altra riva!” (Dal capitolo 116 Bombe e granate.)

La saggezza di Sung si manifesta pienamente anche nel momento della sua morte. Avvelenato dal maresciallo Kao, suo antico e implacabile nemico, Sung comprende che la notizia della sua fine potrebbe scatenare una reazione devastante. Sa bene quanto sia irascibile e impulsivo il Bufalo di Ferro, un altro dei briganti della banda del Liang Shan: se costui venisse a sapere dell’attentato, sarebbe pronto a sollevarsi contro l’Impero, minando l’equilibrio faticosamente raggiunto. Per evitare un nuovo bagno di sangue, Sung compie un ultimo, doloroso atto di lucidità: fa in modo che anche il Bufalo di Ferro venga avvelenato, accettando che entrambi muoiano per preservare la pace. La notizia della loro scomparsa scuote profondamente ciò che resta della banda. Due eroi, Luce d’Astuzia e l’Arciere Magico, non sopportano il dolore per la perdita dei compagni e scelgono a loro volta di morire.

Il romanzo si chiude così, con un gesto estremo di fratellanza: una morte condivisa come ultima, silenziosa forma di lealtà. Un epilogo amaro ma coerente con lo spirito della banda del Liang Shan, dove l'onore e il legame tra i compagni valgono più della vita stessa.

Come accennato, questo romanzo fu oggetto di censura: il motivo va cercato nella sua rappresentazione esplicita della corruzione imperiale e nel fatto che molte figure istituzionali, stanche dell’ingiustizia, finiscono per unirsi alla banda dei briganti. Ne emerge un messaggio sovversivo: il bene sembra risiedere proprio tra i fuorilegge, non nelle strutture ufficiali del potere.

Tuttavia, non credo che l'Autore avesse l'intenzione di formulare un giudizio morale o politico. A mio avviso, l'opera nasce piuttosto come un passatempo narrativo, un racconto picaresco scritto per sorprendere, affascinare e divertire il lettore. È una storia di avventure e di eccessi, più che una denuncia ideologica. Un grande affresco popolare, animato dalla voglia di intrattenere, più che di istruire.

Pur profondamente radicato nella cultura cinese, I Briganti condivide sorprendenti affinità con alcune opere della letteratura occidentale. Il tono picaresco e l’assenza di un giudizio morale esplicito lo avvicinano al Don Chisciotte di Cervantes, dove la giustizia è inseguita ai margini della realtà, tra ironia e disincanto. Analogamente, opere come il Lazarillo de Tormes e la Storia di Gil Blas di Lesage offrono ritratti vivaci e critici di società corrotte, attraverso gli occhi di personaggi che imparano a sopravvivere navigando tra inganni e potere.

La dimensione corale, il senso dell’avventura e l’eroismo fuorilegge ricordano la leggenda di Robin Hood e I tre Moschettieri di Dumas, così come la Storia Generale dei Pirati di Capitano Johnson, che narra le gesta di pirati in un’atmosfera di ribellione contro l’ordine costituito.

A livello concettuale, l’accostamento forse più profondo è con Michael Kohlhaas di Kleist: come i briganti del Liang Shan, anche Kohlhaas si ribella a un ordine corrotto in nome di una giustizia assoluta e personale, in un conflitto tragico e irrisolto tra etica e potere. Infine, il respiro epico e la tensione tra emarginazione e grandezza morale trovano un riflesso anche ne La légende des siècles di Victor Hugo, dove l’umanità dimenticata diventa protagonista della storia.

Nel vasto universo dell’opera emerge un cast di personaggi straordinari, ciascuno con tratti e ruoli distinti, che contribuiscono a rendere viva e dinamica la narrazione. Al centro troviamo Sung Jiang, il carismatico leader soprannominato il “Donatore di Pioggia dello Shantung”, la cui saggezza e senso di giustizia guidano la banda attraverso le molteplici prove e battaglie. Accanto a lui, figura il brillante stratega Luce d’Astuzia (Wu Yong), mente acuta capace di orchestrare complesse manovre e inganni che assicurano la sopravvivenza e il successo della banda.

Non meno importanti sono i valorosi guerrieri come il focoso Drago dei Nembi (Qin Ming), il cui coraggio e forza sul campo di battaglia incarnano l’onore marziale e la determinazione incrollabile del gruppo, aiutato anche dai suoi poteri spirituali. Al suo fianco si distinguono il leale e potente Nobile Khai (Guan Sheng), noto per la sua saggezza e il forte senso dell’onore, e Bufalo di Ferro (Tie Bao), impulsivo ma fedele, la cui presenza passionale e spesso irascibile lascia un’impronta profonda nella storia del gruppo. Spicca anche Corriere Magico (Zhao Lingzhen), la cui velocità e agilità lo rendono indispensabile per le comunicazioni e le ricognizioni della banda. Infine, non si può dimenticare l’abile e valoroso Arciere Magico (Hua Rong), simbolo di maestria e dedizione, capace di colpi letali con la sua arma, ammirato da tutti come un eroe dal cuore nobile.

Va inoltre sottolineato come i protagonisti siano rappresentati quasi come maschere della Commedia dell’Arte: pochi tratti distintivi ben marcati che li connotano e li rendono immediatamente riconoscibili, contribuendo a costruire un racconto vivace, diretto e facilmente memorizzabile.

Questi personaggi, insieme a molti altri, formano un mosaico vivace e complesso, riflettendo le diverse sfaccettature di un’epoca e di un ideale condiviso, quello della giustizia e della fratellanza ai margini di un impero corrotto.

I personaggi femminili all’interno del romanzo sono pochi e, in genere, marginali, spesso fonte di tensioni e conflitti che causano guai. D’altra parte, più volte nel testo si sottolinea come i guerrieri debbano essere insensibili alle grazie femminili, per mantenere la loro determinazione e disciplina. Nonostante ciò, emergono tra i banditi due figure femminili di grande forza e carattere: Mamma Tigre e l’Amazzone I Chang Ts’ing, eroine coraggiose e temute, capaci di farsi valere in battaglia al pari degli uomini.

In definitiva, I Briganti si conferma come uno dei capolavori del genere picaresco. È un’opera da leggere non solo per immergersi nella parte più giocosa e vivace della letteratura e della cultura cinese, ma anche come un serio passatempo per assaporare le avventure di tanti eroi leggendari, capaci di affascinare con il loro coraggio, astuzia e umanità.

di Stefano Duranti Poccetti

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