04 Settembre 2024
Moussa Sangare, l’omicida ventinovenne protagonista del delitto di Sharon Verzeni avvenuto il 30 luglio a Terno d'Isola (nel bergamasco), è esposto al rischio di linciaggio da parte degli altri detenuti del carcere Don Fausto Resmini di Bergamo e per questo il magistrato di sorveglianza ne ha chiesto il trasferimento. Quest'ultimo è poi avvenuto l’altro ieri, lunedì 2 settembre, in un istituto penitenziario differente e non rivelato per motivi di sicurezza. Arrestato la scorsa settimana per l'omicidio già citato (delitto che lui stesso ha confessato di avere commesso), l'atteggiamento ostile da parte degli altri detenuti del carcere di Bergamo ha portato nei giorni precedenti al lancio di oggetti contro Sangare, tra cui alcune bombolette incendiarie e ad un clima di nervosismo all’interno della struttura. A darne ufficialmente notizia era stato il segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Aldo di Giacomo: "Da quanto si è appreso Sangare – che si trovava in una cella del Don Resmini da solo e in una sezione protetta – è stato bersaglio di altri detenuti che hanno lanciato bombolette incendiate". Un modo di agire coerente con il codice non scritto dei carcerati, che a volte attaccano chi è responsabile di atti di violenza nei confronti di donne e bambini. A quel punto il magistrato ha deciso di chiedere il trasferimento del giovane di Susio, allo scopo di salvaguardare la sua incolumità e mantenere la tranquillità all'interno del carcere. La richiesta era stata poi accettata dalla giudice delle indagini preliminari (gip) Raffaella Mascarino e proprio per questioni di sicurezza, la nuova struttura detentiva in cui è stato effettuato il trasferimento di Sangare non è stata rivelata.
Sangare è stato individuato dopo un mese di indagini: Il ventinovenne era stato identificato grazie all'analisi delle immagini sgranate e di bassa qualità delle telecamere di sorveglianza puntate sulla strada dove si era consumato il crimine, le quali lo avevano ripreso in sella ad una bici intento a fuggire nelle vie in prossimità del luogo del delitto. Fondamentali per gli investigatori anche le testimonianze di due giovani italiani di origine marocchina, che lo hanno riconosciuto e segnalato nei dintorni della scena del delitto. Nella notte tra il 30 e il 31 agosto Sangare era stato portato in caserma dove poi aveva confessato il crimine: agli inquirenti aveva raccontato di essere uscito armato di quattro coltelli e con l'intento di "eliminare qualcuno". Come vittima, aveva poi scelto Sharon "senza un reale motivo". È appurato ormai come i due non si conoscessero. Sangare ha poi indicato dove si trovava l'arma del delitto: il coltello era stato sotterrato vicino alla sponda del fiume Adda. L’altro ieri si è svolto anche l'interrogatorio davanti alla gip Raffaella Mascarino. Alla giudice il ragazzo ha spiegato di non essersi disfatto dell'arma gettandola nel fiume, così come invece ha fatto con gli altri tre coltelli, perché "ho pensato che avrei potuto trovarlo ancora lì. Volevo tenerlo per avere memoria di quello che avevo fatto, come un ricordo".
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