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"La libertà innanzi tutto e sopra tutto"
Benedetto Croce «Il Giornale d'Italia» (10 agosto 1943)

Il Monastero delle Carmelitane Scalze di Nuoro, progettato dall’architetto Savin J. Couëlle nel 1994, aprirà le porte alla delegazione del FAI i giorni 22 e 23 marzo, durante le Giornate di Primavera.
Un’occasione unica per visitare un gioiello architettonico che insieme all’Hotel Cala di Volpe costituisce uno dei progetti più significativi del progettista chiamato in Sardegna dal Principe Aga Kahn.

11 Marzo 2025

Il Monastero delle Carmelitane Scalze è stato concepito come una fortezza sul cucuzzolo più alto di Nuoro ed è immerso in una rigogliosa vegetazione circondata da maestose montagne; il disegno a matita dell’architetto, donato all’impresario Gonario Santoni che ha saputo costruire questo capolavoro, riesce a cogliere le molteplici sfaccettature dei volumi che si intersecano e si susseguono in un saliscendi come in un lavoro cubista.       Ritengo questo progetto significativo in quanto in grado di svelare nella sua interezza il genio di uno degli “ultimi dinosauri” a cui si deve il prestigio architettonico della Costa Smeralda, non solo per le sue capacità architettoniche ma anche per la sensibilità che ha saputo esprimere nel cogliere così profondamente lo spirito di questo luogo di clausura dedito alla preghiera.    La costruzione, durata tre anni e inaugurata nel 1994, è stata progettata pro bono da Couëlle, con una accuratezza nei dettagli e di attenzioni verso le funzioni quotidiane delle religiose. Essa racchiude in sé tutti gli stilemi identificativi del suo percorso progettuale e per realizzarla il progettista ha messo in campo tutte le espressioni artistiche, le tecniche edilizie e le lavorazioni elaborate nel corso dei decenni. In rapporto empatico con i maestri artigiani cresciuti sotto la sua egida, con i quali aveva un rapporto speciale e che lo amavano per il suo genio straordinario, ha fatto erigere a lavori finiti un monumento in marmo con i nomi di tutti quanti hanno lavorato al progetto, che è stato posizionato a lato dell’ingresso della Chiesa, in modo che non passi inosservato ai fedeli.    L’intero complesso rifinito a intonaco di calce ruvido del colore della terra sarda, si erge rinforzato da contrafforti che ne evidenziano i volumi, costellati da finestre sempre differenti per forma, foggia e dimensione, evidenziate dall’uso del granito giallo San Giacomo, bocciardato a punta di scalpello e intagliato in blocchi mastodontici. Con questi accorgimenti dall’esterno si legge l’intricato susseguirsi di passaggi, si intuiscono le destinazioni d’uso, le aree di lavoro e di servizio, mentre dall’interno i numerosi colpi d’occhio creati diventano cornici sul paesaggio da cogliere mentre ci si sposta. Faceva parte del suo processo creativo il voler evocare sorpresa e stupore attraverso una progettazione diversificata mai scontata. Ogni dettaglio è progettato con maestria, i differenti preziosi materiali mirabilmente lavorati dialogano creando superfici e volumi sempre differenti che si innescano assolvendo infallibilmente le proprie funzioni. Come ogni suo progetto questo edificio costituisce una scultura cinetica che si trasforma in continuazione trafitta dalla luce meravigliosa della Sardegna.    L’accesso al Monastero non è di regola consentito. L’ingresso si trova a sinistra della Chiesa ed è costituito da una porta in rame sbalzato e cesellato che apre su di un disimpegno ad ettagono che porta ad alcuni parlatori tra cui quello principale, diviso da una grata in ferro austera con il disegno di una croce e una piccola apertura per il passaggio di oggetti.  Di fronte all’ingresso è posta una maquette in legno del complesso, mentre nei vari passaggi sono esposte una galleria fotografica della costruzione e una collezione di rosari realizzati con i semi delle piante coltivate e di presepi realizzati dalle monache e destinati alle mostre e alla vendita. Attraverso una scala si accede alla cripta sotterranea, un locale dal soffitto a cupola con nicchie ad archi diversi illuminati al mattino da un finestrino posto ad est. L’atmosfera rarefatta è resa ancora più intima ed avvolgente dal denso colore rosa aranciato.    All’interno del Monastero il cuore pulsante è rappresentato dal chiostro, un luogo idilliaco di pace dove coltivare fiori all’ombra degli ulivi e su cui si affacciano i vari blocchi funzionali in un dedalo di passaggi, ponticelli, terrazzi, finestrature con ogni facciata che diventa una vera opera d’arte con l’ostentazione di una cultura stilistica e morfologica fuori dall’ordinario.      Una delle pareti del cortile è caratterizzata da un loggiato con archi a tutto sesto come nei monasteri cluniacensi, rifiniti a punta di scalpello con una cornice a casellario intarsiata in granito grigio e giallo, sovrastata da una greca in cotto di diversi colori e poi dai coppi. Il loggiato coperto, di colore terra rosata, si sviluppa sotto le volte a croce e ogni parete è intagliata da una finestra sagomata. Verso sud il cortile è impreziosito da un grottino rivestito con rocce che creano una fontana d’acqua con i pesci rossi, ispirato a una moda curiosa del barocco europeo, continuata fino al periodo eclettico.   La grotta è sottostante un passaggio coperto colonnato, un luogo cruciale in parte finestrato e in parte scandito da colonne lombarde del ‘700 in pietra, che offre una vista unica su tutto il Monastero e sul campanile e che porta all’area privata delle monache. L’architetto soleva inserire nelle proprie architetture elementi antichi che recuperava in diverse parti del mondo.    Attraverso il passaggio che si affaccia anche su un chiostro più piccolo, attiguo, si accede ad un grande atrio a doppia altezza col soffitto sorretto da mastodontiche travi in castagno a vista, suddiviso da una imponente scala scultorea che sfidando la gravità costituisce uno degli angoli più suggestivi del Monastero. Molto articolata, essa si dipana allargandosi irregolare nel grande volume vuoto, offrendo accesso a diversi livelli attraverso aperture ad arco di diverse fogge, delimitata da ringhiere che incrociandosi formano un’opera di scultura contemporanea. Le tipiche inferriate a forma di ipsilon create dall’architetto ed emulate in tutta la Gallura sono in metallo lavorato a mano con un processo laborioso e rappresentano un elemento identificativo, una specie di firma; si tratta di una composizione di elementi a Y ritorti e alternati che Savin Couëlle aveva elaborato grazie all’esperienza acquisita dopo anni di lavoro con l’amico artista e architetto Francois Thévenin, che ha donato al Monastero la grande croce sul campanile e ha realizzato gli oggetti sacri della chiesa. L’incrocio di volte, di aperture con gli archi che si intersecano, lo zigzagare delle scale anche nella parte sottostante intonacata, il posizionamento delle finestrature di volta in volta dimensionate e collocate in relazione al movimento del sole, concedono delle visioni che per molti versi richiamano le parti più suggestive dell’Hotel Cala di Volpe di Porto Cervo.   Il grande spazio dell’atrio crea un contrasto ancor più evidente se paragonato ai diversi cunicoli che si distribuiscono fino alle celle delle monache e che sono volutamente piuttosto bassi. Racconta Gonario Santoni che l’architetto voleva che ci si dovesse inchinare per accedere a determinate zone. Le camere pur essendo austere, hanno il tetto con travi di legno a vista e sono caratterizzate da quell’assenza di angoli retti identificativa del progettista.     Dall’atrio, seguendo un corridoio, si giunge al Capitolo dotato di un camino e di grandi finestre che si affacciano attraverso un loggiato sulla magnifica vallata. Proseguendo il corridoio, si giunge ad una zona di ricreazione e a una particolare scala ellittica con la forma stretta e allungata che si sviluppa su tutti i piani. La sua tromba offre una visione che assomiglia ad un pozzo lungo e stretto temuto ilarmente dalle monache, che talvolta si affacciano prima di accedere al grande terrazzo che offre una vista sorprendente.     Conoscendo il metodo di lavoro dell’architetto Couëlle, e avendo avuto l’opportunità di visitare il Monastero, lo immagino studiare a lungo il Colle del Cuccullio dove sorge, le montagne, il movimento del sole; lo vedo scrutare da inquisitore le funzioni delle monache, le loro orazioni, le abitudini; studiarle mentre si avviano in fila meditative sul ponticello che ha creato che porta dalle zone conviviali a quelle private, con una vista completa sul complesso architettonico; sento la sua benevolenza verso questi esseri dediti alla preghiera che lo ha spinto a creare un terrazzo meraviglioso che si affaccia sui tetti saliscendi e magistralmente eseguiti dell’articolato complesso, con la zona di meditazione e la vista al tramonto, del monte Ortobene da un lato e al Corrasi di Oliena dall'altro che si tingono di rosso durante le omelie della sera.   Dal terrazzo si legge l’elaborato progetto, con l’intersecazione dei volumi a cui corrispondono falde sempre diverse che si compenetrano creando giochi di luce e di ombre.   La complessità del lavoro si evince nella stessa struttura del tetto, con cinque file di coppi, e una correa di mattoni in costa e in testa e ancora in costa che rendono l’idea dell’unicità di un lavoro di architettura. Con le prime file di coppi in alto che sporgono per creare quelle ombre allungate tipiche delle sue architetture, che disegnano la parete in certe ore del giorno.   Anche il campanile è trattato come un elemento artistico, altamente simbolico e anticonvenzionale per il suo essere completamente aperto, con la sommità realizzata in un contorto intreccio di elementi in acciaio inossidabile, una preziosa e unica scultura del maestro Savin Couëlle.    Dall’alto dei terrazzi creati per avere una vista meravigliosa delle campagne circostanti circondate da montagne, si scorgono i sentieri che conducono al giardino terrazzato e al grande orto i cui prodotti servono al sostentamento delle monache. In questo progetto sono stati utilizzati diversi materiali per la pavimentazione, i sentieri nel giardino sono stati realizzati con le tipiche lose che provengono dalla zona di Nuoro, le stesse usate nel chiostro; l’architetto era solito ordinarle anche anni prima in maniera da aggiudicarsi solo quelle di dimensioni imponenti per un effetto che esula dall’ordinario. Le lastre di lose di grosso spessore da lui utilizzate infatti arrivavano a raggiungere anche il metro quadro, richiedendo più impegno nella posa dato anche il notevole peso. Oggi la cava che produceva questo materiale di grande dimensione, praticamente solo per lui, è estinta. Per la sigillatura finale ha utilizzato la malta grigia, anche se negli ultimi anni utilizzava spesso il cemento bianco che una volta steso faceva rifilare con un utensile a punta lungo i bordi delle pietre.   Savin Couëlle era un paesaggista, un vero maestro dei giardini. Esperto conoscitore delle essenze arboree, egli era dotato di una straordinaria capacità di modellare il verde come una scenografia delle sue architetture.     Nella concezione degli esterni emerge il suo rispetto per la natura e la capacità di interpretarla rendendola un tutt’uno con le sue costruzioni e anche In questo contesto incontaminato ha creato un giardino e un orto che si confondono con il verde naturale cercando di evitare confini visivi. Gli piaceva l’aspetto “sauvage”, parola che usava spesso, utilizzando solo essenze locali, come il mirto, il lentisco, il corbezzolo, che alternava a gruppi di fiori colorati per creare pennellate di colore come un artista sulla sua tela.    L’utilizzo dei monoliti di granito rosa della Sardegna, con le naturali forme scultoree modellate dal vento, rappresenta una delle caratteristiche più significative a cui si riconduce l’operato di Savin Couëlle.      L’arte di saper accostare questi blocchi da una tonnellata si deve a una sensibilità innata e all’esperienza di una vita ed è una vera forma d’arte sperimentata negli anni sessanta sull’isola di Cavallo in Corsica. La messa in opera dei monoliti avveniva grazie ad imprese autorizzate che effettuavano una prima selezione nei campi di raccolta insieme a lui, poi attraverso motogru le pietre venivano sollevate legate da catene e trattenute attraverso corde da più persone, esponendo le facce più interessanti in modo che l’architetto potesse visionarle ed utilizzarle come se fossero elementi scultorei, sfruttando le sue doti di percezione e di visualizzazione. Nonostante lo stile della sua maturità come nel caso del Monastero di Nuoro sia improntato su una matrice morfologica più rigorosa ispirata ai borghi marinari come la Maddalena, o alle fortezze medievali, le rocce rappresentano un elemento distintivo che caratterizza ogni suo progetto. Come se i colori della terra, i monoliti naturali e il verde autoctono rappresentassero una realtà imprescindibile su cui basare le proprie architetture. Anche in questo Monastero, oltrepassando il portale di ingresso per giungere al grande piazzale, notiamo una composizione di monoliti che delimita a destra la Chiesa contro il giardino. Anche il transetto ecclesiastico sulla destra è chiuso da grandi monoliti, di cui uno enorme racchiude il tabernacolo perché la Natura e il Sacro sono inscindibili.   

La Chiesa occupa la parte alta della fortezza, idealmente più vicina a Dio.  Vi si accede attraverso un grande piazzale e una scalinata in granito bocciardato che sbarca sul porticato, sorretto da quattro grandi colonne antiche lombarde.     La porta della Chiesa, in legno massello di rovere, con doghe in diversi orientamenti che formano una grande croce ed indicano l’entrata alla Chiesa, unica porzione del Monastero accessibile al pubblico durante le Messe.   La conformazione della porta di ingresso, decorata con inserti di rombi in acciaio inossidabile caratteristici dei suoi lavori, è studiata per creare una visione prospettica che comprende tutta la chiesa, e crea un’inquadratura sulle tre grandi finestre a croce inondate di luce. La forma a spiovente del portone ricalca la geometria del soffitto sopra all’altare.    La Chiesa è straordinaria, ricca di riferimenti; la proporzione viene usata in senso manierista, stabilendo un ordine gerarchico attraverso l’uso dello spazio e dei dettagli architettonici. L’altare, da lui progettato con grandi monoliti di pietra scolpita per le funzioni ecclesiastiche diventa un piccolo elemento sovrastato a est da tre immense croci intagliate nell’alta abside e delimitate dai grandi blocchi di granito caratteristici dei suoi progetti. Le tre croci sul Golgota, con quella divina dominante, ricavate per sottrazione dalla muratura segmentata diventano spiriti di luce che inondano lo spazio il mattino, durante le funzioni, interagendo con i fedeli in una sofisticata scenografia. Sotto la croce di sinistra, la parete rivela un sottoscala, un dettaglio amato dall’architetto che trasforma un elemento tendenzialmente da celare in dettaglio emblematico con la luce naturale che evidenzia i gradini in una ascesa spirituale verso l’alto, nella purificazione dei peccati.    L’abside è sovrastata dalla cupola ottagonale della chiesa, un vero capolavoro ispirato all’antica Chiesa di Santa Croce nel centro di Nuoro e realizzato in Pernervo metal, la speciale rete porta-intonaco che Couëlle aveva sperimentato negli anni sessanta con le sue architetture organiche. Si tratta di un volume scultoreo modellato dai coppi usati come una decorazione e con una realizzazione magistrale, che culmina con la croce in ferro battuto donata dall’amico artista Francois Thevenin.     Nella chiesa, a sinistra del transetto, si trova l’ala riservata alle monache, prospiciente l’altare, raccolta, ha un’apertura curva come una grotta delimitata da una grata di ferro austera ma con un ritmo interrotto da leggeri decori geometrici. Trovo espressiva la grande finestra ad arco che da questa area protetta si affaccia sul magnifico giardino coltivato, come un invito a interrompere la preghiera per la contemplazione della natura, attraverso la quale Dio si manifesta.   La parte destra del transetto, di fronte alla zona privata delle monache, si scontra con un enorme monolite che irrompe nello spazio ecclesiastico nello stile dell’architettura organica dell’architetto. Un altro monolite contrapposto contiene il tabernacolo, intagliato nella roccia e fatto realizzare espressamente da Couëlle.   Nicchie di forme e dimensioni differenti contengono sculture religiose posizionate dall’architetto negli anni, come se fosse la sua casa, illuminate da faretti per le ore notturne. Tra di esse spicca la scultura di una Madonna Nera, parzialmente sfregiata dal fuoco e restaurata, trovata dall’architetto a New York, mentre l’acquasantiera a destra dell’ingresso è costituita da un’enorme conchiglia proveniente dalla barriera corallina delle isole Mauritius, inserita in un monolite di granito rosa. Ogni accessorio rituale religioso è stato fatto realizzare appositamente dall’amico Francois Thevenin.    Le pareti sono trattate ad intonaco civile finissimo, quasi gessato, come si usa nella tradizione sarda, sono spesso interrotte in pianta da diverse angolature, in modo che la luce le colori illuminando i frammenti in maniera differente.   La Chiesa è asimmetrica, sul lato sud, una serie di finestre di diverse fogge, caratteristiche della sua progettazione, sempre delimitate da prismi di granito, dirigono la luce verso l’interno nelle varie fasi della giornata.    Sul lato nord, in una posizione in alto del piedicroce della chiesa, che risulta buio perché sprovvisto di aperture, è collocata la scultura Fractalis Passion di Tiziana Lorenzelli in alluminio dorato che con la sua riflettenza proietta all’interno la luce naturale dai finestrini dirimpetto, in modo da non interferire con questo luogo sacrale con un’opera che ne alteri la assoluta perfezione ma che riesca a dialogare con questa architettura speciale in maniera già sperimentata e apprezzata dall’architetto perché in linea con il suo pensiero, un segno essenziale, inaspettato, positivo e spirituale.   Conoscere l’architetto Couëlle è stata una delle esperienze più formative della mia vita, per il suo modo visionario e tridimensionale di immaginare gli spazi, la sensibilità con cui trasformava i luoghi, la sua percezione nel carpire l’anima dell’intorno e anche delle persone. Gli piacevano le mie sculture, mi aiutava a collocarle e ne aveva una nel suo studio. E’ un grande privilegio che Fractalis Passion, simulacro del Cristo Crocifisso, abbia trovato a Nuoro, in un luogo di straordinaria potenza espressiva la sua casa, tra le opere di artisti cari all’architetto. Sono grata a Gonario e Rosa Santoni, dell’impresa che ha costruito il Monastero e a suor Maria Assunta Ruzzone che guida la comunità claustrale e che con le sue sorelle e le guide spirituali mi hanno sostenuta in questo progetto con una visione e una passione per l'arte non consueta.    La scultura ha il titolo Fractalis Passion, perché la passione di Cristo, in tutta la sua drammaticità viene resa espressiva attraverso l’accostamento delle pepite dorate in alluminio che hanno caratterizzato alcuni miei precedenti lavori della serie dei Fractalis. I frattali sono unità di misura in grado di comprendere sistemi dinamici complessi come la geometria della natura e che ci aiutano a capire alcuni fenomeni naturali.   Questa scultura è composta da elementi che sembrano volumi pieni metallici ma che sono forme leggerissime realizzate con uno speciale sandwich di alluminio che faccio realizzare e che ho depositato col marchio Aluflexia, fissate alla parete attraverso dei magneti dorati.   Questo metallo risponde perfettamente alla mia ricerca emozionale indotta anche da una percezione visiva mutevole, perché i cinetismi impressi dalla luce generano come un irraggiamento promordiale. La forma interagisce con lo spazio ma vive anche di luce propria o di luce che vi si riflette e che si amplifica. Questa scultura sospesa rappresenta un segno emblematico ideale per esprimere dei concetti spirituali, con un intervento che non deve essere considerato un atto individuale e solipsistico ma un’interazione con le forze imprescindibili della natura, che ognuno sviluppa in base alla propria sensibilità di leggere e di convogliare in un percorso intellettuale le infinite incognite di un mondo che ci affascina ma che rimane un mistero.  Copyright Tiziana Lorenzelli, qualsiasi riproduzione anche parziale del testo é vietata senza il consenso scritto dell’autore

Programma delle Giornate di Primavera a cura della delegata FAI di Nuoro, dott.ssa Carla Pacchiano. Il FAI, Fondo Ambiente Italiano si prepara a celebrare anche quest'anno le Giornate di Primavera, evento nazionale che ha l'obiettivo di far conoscere al grande pubblico beni di importanza storica, artistica, architettonica, ambientale, poco frequentati o addirittura chiusi.    La delegazione di Nuoro, di cui sono responsabile, nei giorni 22 e 23 marzo aprirà le porte del gioiello architettonico costituito dal convento e dalla cappella dedicata alla MATER SALVATORIS che ospita le monache di clausura dell'ordine delle Carmelitane Scalze.   L'opera, ideata e realizzata dall' architetto Savin Couelle, famoso per la sua originalità e per il suo stile inconfondibile e ispirato dal contesto ambientale, è da considerarsi a pieno titolo un monumento molto importante per la città.   Il programma prevede per sabato 22, al mattino, visite guidate a cura degli apprendisti ciceroni a partire dalle 10,00 sino alle 13,00.   Di pomeriggio, nella cappella del convento invece, si terrà una conversazione sulla storia, l'architettura e l'inserimento nel paesaggio del monastero. Interverranno l'architetto Tiziana Lorenzelli, che conosceva il famoso architetto Savin Couelle, che relazionerà sull'aspetto architettonico dell'opera, sul valore simbolico di molti dei suoi particolari e sull' opera scultorea FRACTALIS PASSION che lei stessa ha realizzato e donato al Convento nel 2023.  L'arch. Domenico Canu interverrà sull'aspetto urbanistico e sull' inserimento dell'opera sul monte del Cuccullio; il geom. Gonario Santoni, infine, titolare dell'impresa che ha realizzato la costruzione e che ha lavorato fianco a fianco con Couelle, riferirà sull'iter della costruzione senza far mancare alcuni dei numerosi aneddoti che riguardano la personalità vulcanica del professionista sia nell'aspetto caratteriale che nell'attività professionale.   Alle ore 17,30 le suore di clausura canteranno i vespri, e anche questo momento sarà di grande suggestione.  La serata si concluderà con l'esibizione della  corale femminile Priamo Gallisai, diretta dalla maestra Maria Bonaria Monne, e del coro Ars Nova diretto dal maestro Roberto Pisanu.   Domenica 23 si svolgeranno come al solito le visite guidate dagli apprendisti ciceroni.

 

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