30 Agosto 2024
Venezia 81. Angelina Jolie commuove con la "sua" Callas alla sua ultima settimana di vita e lo fa diretta da Pablo Larrain in "Maria", un film riuscito, ricco di pregi con una sola pecca: la grecità della immensa cantante lirica non è nel viso della bravissima protagonista, forse nemmeno molto nelle movenze; queste ultime, tuttavia, sono frutto sia della vita trascorsa a New York da ragazzina sia della fatica data dalla malattia prima del decesso. Le origini profondamente umili della Callas sono, comunque, parte integrante del film: esse restarono dentro di lei fino alla fine, come testimoniato anche dall'incontro con l'amata sorella, qui interpretata da Valeria Golino.
Peccato, dunque, non aver tolto un pò di beltà alla Jolie in nome di una maggiore somiglianza con la vera Maria.
Per ogni altro aspetto un plauso unico, come quello fragrante del pubblico in sala, il 29 agosto, che ha giustamente sottolineato la potenza emotiva del personaggio, la sua inconsolabile tristezza, il suo amore spassionato per un'arte che l'ha, infine, portata alla morte. Per i greci, diceva la Callas, anche la morte è una sorta di compagna di vita.
A personificare i ruoli del maggiordomo e della cuoca della Callas, entrambi profondamente affezionati alla divina e preoccupati per la sua dipendenza dai medicinali, sono, rispettivamente, Pierfrancesco Favino e Alba Rohrwacher.
Il film ripercorre gli ultimi 7 giorni di vita della Callas e inizia proprio con la scena che va a chiudere questo straordinario ritratto, caratterizzato dai dettagli e dall'umanità della protagonista, Maria appunto. Maria e non la Callas. Per tutto il film, le persone chiedono alla donna se voglia essere la Callas o solo Maria, laddove la prima è la divina e la seconda la fragile, la triste, l'inconsolabile, l'innamorata di Onassis, che mai la rese sua moglie, scegliendo Jackie al suo posto.
Poteva avere chiunque, era irraggiungibile per la maggioranza e un mito per i restanti. Però lei perse la testa solo per il brutto e ricchissimo Onassis, un uomo duro che le diede molto, ma la trattò come un uccellino in gabbia. Alla domanda come mai lui non l'avesse sposata lei avrebbe risposto: "sapeva di non potermi controllare".
Il tema del controllo di sè e della sua esistenza, dunque della scelta libera e indipendente, torna in "Maria" alla fine del film, quando apprende che, se canterà e per farlo ingurgiterà altri medicinali, uno in particolare colpevole di averle distrutto il fegato, morirà: la morte sarà, dunque, una sua scelta; lei per la prima volta deciderà della sua vita.
Un film assolutamente da vedere. Voto: 9.
Il lavoro in coppia di Jolie/Larrain è strepitoso, un insegnamento per chi sa come si lavora su un personaggio e apprezzare le sfumature per arrivarci, renderlo proprio, dargli vita e farne qualcuno al di là di sè.
La difficoltà, ma anche il pregio, di portare in scena o sul set un personaggio realmente esistito è enorme: Angelina Jolie ci è riuscita e le sue lacrime agli applausi in sala sono condivisibili.
Peccato solo quel nasino appena raddrizzato con quel mento forse nemmeno modificato che urlano "Angelina" invece di "Maria".
Ma glielo perdoniamo, perché il film del bravissimo Larrain (chi non vorrebbe lavorarci?) è davvero meritevole.
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