10 Aprile 2024
Carlo Lottieri, Direttore del dipartimento di Teoria politica di IBL e Presidente di FreeAcademy, in occasione dell’evento di presentazione del paper dell’Istituto Bruno Leoni dal titolo “Università tradizionali e telematiche. Perché una guerra non ha senso", ha dichiarato a Il Giornale d'Italia:
“Non ha senso perché l'Italia ha un numero bassissimo di laureati, in Europa è la penultima, solo la Romania fa peggio. Per giunta, la Romania ha comunque più laureati nel settore scientifico. Abbiamo bisogno di un'offerta crescente, non invece di ridurre l'offerta. Poi perché si tratta spesso di studenti di tipo diverso, che hanno esigenze diverse. Non dimentichiamo tra l'altro che ormai si parla di 'nativi digitali' cioè una società la nostra, in cui i giovani sono abituati fin dalla più tenera età ad avere a che fare con la telematica, con cellulari e quindi il mondo sta cambiando velocemente ed è ovvio che anche l'insegnamento cambia. Tutti noi attingiamo a internet una marea di informazioni ed è ovvio che anche le università in presenza hanno bisogno di strumenti telematici e spesso non utilizzano. Quindi, immaginare una chiusura di fronte alla telematica, di fronte all'innovazione credo che sia assurdo. È anzi secondo me indispensabile aprire spazi a tutti, cioè aprire spazi alle telematiche in modo che possono essere anche in presenza quando vogliono, quando possono e così anche alle già in presenza di attivare ancora di più di quanto già non facciano gli strumenti la telematica. Bisogna andare verso un'integrazione progressiva io credo, una liberalizzazione che permetta ad ognuno di dare il meglio, al servizio appunto delle famiglie degli studenti”.
Secondo lei, perché in Italia si è creata questa diatriba se le due modalità possono coesistere?
“Ci sono varie ragioni. Innanzitutto c'è un antico pregiudizio nei riguardi del profitto e delle imprese che fanno profitto e alcune di queste realtà indubbiamente sono legate a degli investitori che vogliono rispondere a una domanda che viene dalla società. Questo è un primo punto. Il secondo è che c'è anche un problema legato alla mia categoria, cioè i professori dell'università in presenza, cioè persone che temono di uscire dalla come dire confort zone del settore pubblico, di trovare nell'arco di dieci, venti, trent’anni un'università dove magari il posto non è garantito, non è fisso, perché è sottoposto alle decisioni alla fine degli studenti. In terzo luogo c'è un elemento ideologico: è ovvio che oggi l'università è caratterizzata, in un certo senso, il progetto di Antonio Gramsci di egemonia culturale ha avuto successo, da una certa visione latamente progressista e quindi tutta una serie di settori importanti della politica e le università non vogliono che si aprano a spazi diversi”.
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