10 Aprile 2024
Marco Bassani, , in occasione dell’evento di presentazione del paper dell’Istituto Bruno Leoni dal titolo “Università tradizionali e telematiche. Perché una guerra non ha senso", ha dichiarato a Il Giornale d'Italia:
“Non ha senso intanto perché si rivolgono a due pubblici abbastanza diversi. Naturalmente c'è una piccola intersezione e l'intersezione riguarda quei ragazzi che abitano in zone disagiate piuttosto lontane. Probabilmente oggi, la sinistra non si rende conto di quanto possa costare a una famiglia media italiana fare studiare 3 o 4 studenti fuorisede, per chi ha magari più figli. Si parla di decine di migliaia di euro all'anno. Non tutti sono così ricchi. Ancora una volta la sinistra ha deciso di difendere, diciamo, le classi abbienti come suo costume. E poi l'altro piccolo particolare è che le università telematiche si rivolgono a quelle persone che tipicamente stanno lavorando e sarebbero impossibilitati naturalmente a frequentare se non avessero la possibilità di ottenere a casa, magari durante il weekend, oppure la sera prima di andare a letto, i propri corsi per seguirli. Io non ho mai sentito, nel corso del tempo, nessuna argomentazione sul fatto che non si possa imparare online. Non si può avere relazioni, dopo un po’ è chiaro che sono false queste relazioni di ogni genere, ma online si può imparare, si può imparare tranquillamente. Questo lo riconoscono tutti. Dipende dalla bravura dei professori e dei maestri, ovvio”.
Una cosa che è considerata un punto debole dell'università telematica è la poca interazione con il docente. Cosa rispondete?
“Io ho passato 30 anni come professore. In quasi 30 anni, come professore in un'università in presenza, l'Università degli Studi di Milano. La mia interazione con gli studenti, tolto un piccolissimo gruppo, forse dello 0,5%, era uguale a zero. Insegnavo al primo anno, avevo classi a volte di 4 o 500 studenti. Era esattamente come una performance teatrale, non c'era nessuna interazione di nessun genere con gli studenti. Poi le chiamano università in presenza. Il primo anno ci sono 500 studeni che frequentano, il secondo anno sono circa 130 e il terzo anno sono 40. E le aule sono in questo modo proprio immaginate. Dovrebbero essere chiamate università non in presenza, giacché naturalmente la frequenza scema costantemente”.
Durante la pandemia tutti gli studenti si sono trovati a frequentare a distanza. Ritiene che si sia acceso un faro sull'università telematica nell'epoca post pandemica?
“In tutto il mondo, non solo in Italia naturalmente, la pandemia ha provocato un enorme interesse per quello che erano queste nuove tecnologie. Anche effettivamente questi viaggi continui Roma, Milano, Venezia, Torino, sono diminuiti. Quando uno capisce che ci si può collegare online e parlare tranquillamente con sette, otto persone. Abbiamo avuto una riunione con colleghi di Torino, di Napoli e questa cosa ormai è abbastanza evidente: le persone possono risparmiare sui viaggi e risparmiare su altre cose. Certamente ne risente un po’, come abbiamo detto prima, l'interazione personale, che è molto importante in certi lavori e in certi mestieri. Questo è stato un cascame della pandemia, ma ha colpito anche università importantissime, quali Harvard, che adesso ha decine e decine di corsi online, costosissimi naturalmente, la gente ha cominciato a dire 'sì certo pago una retta di più di 60.000$ l'anno e sono qui a vedere le mie lezioni online'. Direi che l'online è stato totalmente sdoganato nel corso della pandemia. Nessuno può sostenere che online non si impari”.
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