12 Novembre 2024
ph. e collage Alessandra Basile
Introduzione
Parthenope ovvero Napoli, città personificata in lei, la protagonista dell'ultimo discusso film del premio Oscar Paolo Sorrentino, che, stavolta, anziché idolatrare questo microcosmo di storia europea che capeggia sulla Campania, attraverso il suo amore per Maradona, la condanna senza pietà né futura assoluzione.
Parthenope ossia "quella che sembra una vergine". La storia è quella di un Ulisse insensibile al canto di tre sirene ammaliatrici: Ligea, Leucosia e, guarda un pò, Partenope, che, stando alla leggenda secondo una delle sue versioni, si suicidò, lanciandosi in mare con le due sorelle; il suo corpo giunge alla foce di uno degli affluenti dell'allora fiume Sebeto, che bagnava l'antica Neapolis, chiamata inizialmente Parthenope e fondata dai Cumani alla fine del secolo VIII a.C..
Ancora oggi città e popolazione, le relative cultura e società, sono dette partenopee.
Infine, "Parthenope": così si intitola l'ultimo lungometraggio del regista Paolo Sorrentino, che ha diretto la protagonista, Celeste Dalla Porta, e un cast, in parte affezionato a lui o viceversa, nel quale figura anche Stefania Sandrelli, vale a dire il personaggio principale a 73 anni.
TRAMA
Nel 1950, nasce Parthenope, una bellissima bambina, figlia dell'artistocratica famiglia Di Sangro e sorella di Raimondo, maggiore di alcuni anni. Il parto avviene nel mare di Posillipo e vi assiste anche il figlio della governante, Sandrino. L'ambientazione coincide, oltre che con l'ineguagliabile natura circostante, con la lussuosa magione di famiglia. A decidere il particolare nome è "Il Comandante" Achille Lauro, proprietario della spiaggia privata nella quale si trovano tutti per l'evento e ad ammirare Napoli nella sua bellezza.
Vent'anni dopo, la ragazza frequenta le lezioni del rude professor Devoto Marotta, padre di un ragazzo problematico, e si appassiona di antropologia, pur non capendone il vero significato e cercando, a più riprese, di carpirlo dallo stesso professore, che, solo alla fine, le risponderà.
Parthenope passerà l'estate a Capri con Raimondo e Sandrino e conoscerà lo scrittore John Cheever, autore dei tristissimi libri che lei legge con passione. Raimondo ama sua sorella, la quale avrà un'intimità con Sandrino: per il fratello è troppo, così il suo sentimento incestuoso per la sorella lo porterà ad un atto estremo, simile a quello delle sirene prima descritte. I loro genitori riterranno la ragazza colpevole di questa morte e se ne distaccheranno, lasciandola viva ma sola, come lei stessa ammetterà da anziana.
Il 1974 è ancora pervaso da un insostenibile senso di colpa per Parthenope, che decide di interrompere gli studi universitari per tentare la carriera di attrice, prima con l'aiuto di Flora Malva, sfigurata dalla chirurgia plastica e simbolo di una fama che porta solo solitudine, poi incontrando la star Greta Cool, alias una sorta di Sofia Loren, napoletana trasferitasi da tempo nel Nord Italia. Durissimo il monologo di quest'ultima contro la sua città d'origine e i napoletani a una festa di Capodanno.
Seguono, per Parthenope, l'incontro con il giovane boss Roberto Criscuolo, con cui scopre i sobborghi napoletani e la relativa miseria nonché assiste alla c.d. "fusione" fra due famiglie di camorristi, attraverso un atto terribile nei confronti di 2 giovanissimi; l'aborto volontario ed illegale, per non concepire un malavitoso; la laurea persino con il bacio accademico e l'opportunità di fare da assistente a Marotta, che ripete costantemente "io non la giudicherò mai e lei non giudicherà mai me"; la terribile conoscenza del cardinale Tesorone e il fenomeno da baraccone dello scioglimento del sangue di San Gennaro.
L'ultima scena, prima di passare alla Sandrelli, è l'incontro fra Parthenope e il figlio di Marotta: un mostro di acqua e sale simile a un gigantesco neonato deformato che, però, cattura la protagonista, che sorride e si commuove estasiata.
Siamo giunti al 2023 e Parthenope vive a Trento, dove si è trasferita anni prima per motivi di studio e lavoro, senza mai più tornare nella sua Napoli. Da pensionata, senza un matrimonio né una famiglia, però, ci torna e si accorge della somiglianza fra sè e la città, che, come lei, ha avuto la bellezza e nasconde tristezza. A quel punto, sorride.
ANALISI DEL FILM
Il film ha in sè un mondo di simbologie, riferimenti, spunti, per lo più amari, immagini, rese straordinarie dalla fotografia, detti e non detti, insomma un mondo, se si vuole, da esplorare.
Certamente, costituisce uno spartiacque fra chi lo ha amato e chi lo ha detestato, generando confronti, diventando il tema di una serata mondana, facendo sentire esclusi coloro che ancora non l'hanno visto. C'è della genialità pure in questo. Tradotto: l'importante è che se ne parli. E il film incassa a più non posso.
I temi di "Parthenope", a volte, sono tragici e forse scontati, ma, soprattutto, sono veri solo in parte con riferimento alla bella, storica e tormentata Napuli.
Si va dallo scorrere veloce della vita da giovani alla lentezza di quella da saggi; dal rapporto con il desiderio (spesso altrui), passando per la seduzione, alla sofferenza e dalla solitudine alla morte, anche quella violenta del suicidio, in un contesto che viaggia fra il sacro e il profano, senza grande rispetto dei reciproci limiti. Poi, ci sono i temi dell'umiliazione pubblica, dell'aborto (illegale), dell'oltraggio, della vile lussuria e quelli più scomodi, come l'incesto.
Parthenope, come Napoli, fa innamorare di sè chiunque con il suo sguardo languido e le movenze feline, ma illude e delude, accende speranze che sono costrette a gettarsi a mare, annegando.
La bellezza - lo dice Gary Oldman nei panni dello scrittore americano Joh Cheever - è come la guerra: spalanca tutte le porte. Certo, provoca vittime; talvolta lo sono le stesse donne belle che non sopportano la fine della giovinezza e si torturano con la chirurgia, come Flora Malva alias Isabella Ferrari, o restano prive di quella felicità che hanno cercato per una vita, guadagnandosi soltanto una vecchiaia in solitudine, come la star Greta Cool alias Luisa Ranieri, che appare come una penosa Sofia Loren grottesca.
Quando Parthenope comprende il pericolo della sua bella giovinezza "che si fugge tuttavia", lascia perdere la carriera attoriale che accomuna le due donne menzionate e punta allo studio, quello antropologico, che, come il figlio deforme del professore, lei trova bellissimo. L’antropologia - dice il professore - è stare nell’incertezza, vederla e accettarla.
Una domanda costituisce il fil rouge del film: "Parthenope a che stai pensando?". La risposta è sempre celata nello sguardo della giovane. Quando, però, si ritrova in una fascia d'età ben diversa (Stefania Sandrelli), dice "sono stata come Napoli: giovane, frivola e triste, oggi sono viva e sola". Forse, così si può riassumere il film di Sorrentino del 2024.
Si potrebbe andare avanti a lungo a commentare i momenti del film, nelle sue 2 ore e un quarto, peraltro scorrevolissime. Invece, concludiamo con la frase finale, quella dei titoli di coda, ossia "Dio non ama il mare”: se la protagonista nasce in mare e l'amato fratello vi muore violentemente, il mare stesso è Dio o il suo nemico, in questa visione, perché dà ma può togliere la vita? Chi lo sa.
Una cosa è certa: il messaggio del film è, complessivamente, amaro, triste, drammatico: Napoli non è questo, non solo!
RECENSIONE
La mano di Paolo Sorrentino è sacrosanta nella realizzazione di un film - i suoi non sono mai "filmetti" - e la fotografia lo eleva al livello cui appartiene.
I suoi attori si muovono con agilità nell'intreccio della storia, con effetto rallentato, come piace al maestro, in un'armonia che solo un grande regista può costruire e garantire, non lasciando nulla al caso, nemmeno una parola all'interno di una battuta; tuttavia, forse, sarebbe interessante sapere quanta libertà interpretativa o, se vogliamo, creativa conceda al singolo attore.
Il cast è, al solito, perfettamente scelto, anche se alcuni attori danno l'idea di esserci per affezione tra loro e Sorrentino, come Ferrari e, ormai, Ranieri; se la prima rende benissimo il suo personaggio, la seconda lascia più perplessi, perché, nonostante trucco e, letteralmente, parrucco, è difficile staccarsi dall'idea che quella sia la Ranieri. Alla Ferrari un plauso, inoltre, per l'evidente ironia nel vestire i panni di una vittima della chirurgia estetica: quando mostra la bocca, unica parte che espone, mostra proprio la chirurgia.
Celeste Dalla Porta è la protagonista assoluta del film ed è amatissima dalla telecamera. Sarà interessante vederla in un qualsiasi altro ruolo e, magari, diretta da un altro regista. L'impressione è - pur nella buona resa del suo personaggio caratterizzato da leggerezza in superficie e da una certa amarezza nel profondo, ma anche dalla capacità di rispondere sempre a tono - che l'attrice sia un pò fissa come espressività del volto e insicura fuori dalla sua confort zone, insomma poco coraggiosa artisticamente.
Per contro, straordinario, come sempre, è Silvio Orlando nel piccolo ma significativo ruolo del professore di antropologia.
Quanto ai ruoli minori del film e pensando ad alcuni in particolare, la nudità che tanto piace a Sorrentino non è quasi mai necessaria; sarebbe assai più poetica - nello stile di "Parthenope" - una scena in cui si potesse intuire ciò che non si vede.
Il film non stanca mai: scorre, nonostante alcune lunghe inquadrature, soprattutto quelle che indugiano più e più volte sul volto e sul busto quasi desnudo della bella protagonista, e dà un'inquietudine che lascia lo spettatore come sospeso, in attesa della scena successiva e con la curiosità di capire dove si vada a parare. Per 150 minuti circa, lo sguardo è tutto per "Parthenope".
Difficile dare un voto al film "Parthenope", perché, se trama e messaggio sono discutibili per ragioni diverse, tuttavia regia, fotografia, scenografia portano il pubblico in una dimensione senza eguali e, in fondo, per un pò si sogna tutti insieme. Voto complessivo: 7,5.
CURIOSITA'
La protagonista si chiama, per la precisione e non a caso, Parthenope di Sangro. Suo fratello, a scanso di equivoci, porta il nome di Raimondo.
Ora, il principe Raimondo di Sangro di Sansevero realmente esistette: fu il famoso alchimista che incaricò, nel 1753, Giuseppe Sanmartino, un giovane scultore napoletano, di realizzare una statua di marmo a grandezza naturale nella Cappella Sansevero, nel cuore del centro di Napoli; la statua doveva rappresentare Gesù Cristo morto e coperto da un sudario trasparente, poi realizzato con una tale maestria da chiedersi come fosse possibile che si trattasse di marmo. Sembra che l'artista avesse applicato la "velatura di Sangro", una tecnica segreta ideata dal principe di Sangro.
Nella cappella, ci sono anche altre sculture, fra le quali i "cavalli alati", simboleggianti scienza e alchimia, le passioni del principe.
Quest'ultimo, interessato ai misteri della natura e a studiare l'uomo, diede vita a un numero imprecisato di invenzioni e fece svariate scoperte, sperimentando a più non posso nel suo laboratorio.
Nel 1740, ricevette il titolo di cavaliere dell'Ordine di San Gennaro, il che ci fa tornare con la testa al film e alla scena dello scioglimento del sangue del santo.
Fra verità e finzione, fra storia e leggenda, Raimondo di Sangro è tuttora considerato un personaggio fondamentale della cultura e dell'arte napoletane. La bella Parthenope di Sorrentino non potrebbe chiamarsi altrimenti.
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