09 Febbraio 2023
Canta che ti passa. Il 73° Festival di Sanremo, come ogni fenomeno di massa, non va guardato. Va visto. E per vederlo davvero bisogna guardarlo non solo frontalmente. Bisogna sforzarsi di vedere anche dietro, IL dietro.
In quest’ottica la declinazione televisiva del monologo di Benigni è esemplare. Benigni si spende con studiato entusiasmo nell’elogio della Costituzione. Con la solita collaudatissima prorompente prodigalità intrisa di amorosi sensi inonda il palco del Festival di passione per “la Costituzione più bella che si possa immaginare”.
A Benigni spetta il compito di portare in trionfo la Costituzione, di celebrare il "sacro rito sull’Altare della Patria” messo a disposizione dal Festival di Sanremo. Si rivolge al pubblico e interpella Sergio Mattarella che assiste compiaciuto da un palco simil reale, sul modello di quello che frequenta assiduamente come habitué della Scala di Milano.
Mattarella è il primo presidente, in 73 anni, ad assistere a una serata di Sanremo. L’occasione ufficiale è la celebrazione dei 75 anni della Carta Costituzionale. Chi meglio di Benigni può officiare la liturgia della riesumazione della Costituzione dopo quasi tre anni di continui abusi?
“La Costituzione è legata all’arte” – dice Benigni – “perché è un’opera d’arte e canta. Canta la libertà, la dignità dell’uomo: ogni parola della Costituzione sprigiona una forza evocativa e rivoluzionaria come le opere d’arte perché butta all’aria quell’ordine predisposto di prima, quel soffocamento, quell’oppressione della libertà, quell’ingiustizia, quella violenza che c’era prima”.
Durante il monologo di Benigni la regia di Stefano Vicario tradisce la volontà politica che ha promosso la celebrazione mediatica della Carta Costituzionale e assume connotati tipici della televisione nordcoreana. Le inquadrature in primo piano di Mattarella sono dolorosamente e antiesteticamente schiacciate sulla maschera facciale del presidente, come se si trattasse del faccione di un nostrano Kim Jong-un.
Ecco, se non ci limitiamo a guardare ma ci sforziamo di vedere, la rappresentazione televisiva ci mostra chiaramente che Benigni non celebra la Costituzione ma colui che dovrebbe essere il custode dei sacri valori di Libertà, Giustizia e Uguaglianza che hanno ispirato i 556 padri costituenti, sintetizzati da Benedetto Croce il 10 agosto 1943 sulle colonne de il Giornale d'Italia "La Libertà, innanzi tutto e sopra tutto".
Mattarella deve continuare a essere percepito come il garante della Costituzione. Nonostante tutto.
Preservare e asseverare la percezione di un Presidente super partes che ama il suo Paese e agisce per il bene del suo popolo è indispensabile. Mattarella è l’architrave che regge tutto.
Ma Mattarella non si è opposto ai DPCM con cui un oscuro avvocato dal ciuffo inamidato ha chiuso gli italiani in casa privandoli della Libertà in nome della salute in spregio all’articolo 13 della Costituzione. I DPCM con cui milioni di italiani sono stati privati della Libertà, del diritto al lavoro, allo studio, alla libera circolazione per non essersi sottoposti all’obbligo di iniettarsi un farmaco sperimentale spacciato per vaccino in spregio agli articoli 1, 3, 4, 32.
Mattarella ha firmato decreti e leggi con cui si è deciso di inviare ingenti quantitativi di armi al governo ucraino in spregio all’articolo 11.
Il Presidente, il custode dei principi della Costituzione, ha permesso che si facesse scempio di una dozzina di articoli della Carta Costituzionale.
Ha perfino nominato giudice della Corte Costituzionale il consigliere giuridico di Draghi ben sapendo che di lì a poco sarebbe stato chiamato a esprimersi sulla legittimità costituzionale del Decreto Legge del 7 gennaio 2022 da lui stesso scritto.
Dove era il signor Benigni mentre una classe politica vile e indegna azzerava diritti e libertà con lockdown e Green Pass?
Dove era il signor Benigni mentre venivano soppressi i più elementari diritti e si instaurava un regime liberticida creando un pericoloso precedente?
Dove era il signor Benigni mentre si istillava nelle menti degli italiani il virus che ha fatto apparire normale, anzi perfino giusto, condizionare la libertà al presunto bene collettivo?
Nel suo monologo Benigni si trasforma progressivamente nel portavoce di una realtà distorta, anzi, rovesciata. Si svela come sacerdote della liturgia del grande inganno, propagatore di quella particolare forma di distonia della percezione che viene alimentata quotidianamente dalla maggioranza dei media.
Sarebbe stato bello, avrebbe regalato gioia e speranza, vedere Benigni promuovere la causa della liberazione di Julian Assange e chiedere a Mattarella di patrocinarne la causa nei consessi internazionali in nome dell’articolo 21.
Sarebbe stato bello vedere Benigni invitare il presidente a chiedere perdono per le manganellate e l’uso degli idranti contro i manifestanti pacifici e disarmati del porto di Trieste.
Sarebbe stato bello vedere Benigni chiedere a Mattarella di impegnarsi perché non accada MAI PIÙ che la Libertà venga condizionata e che una parte degli italiani vengano privati del più sacro dei diritti.
Invece riesce perfino a citare senza imbarazzo l’articolo 11: “L’Italia ripudia la guerra”. Privo di ogni senso del pudore declama che “se lo avessero adottato tutti i Paesi non esisterebbe più la guerra sulla Terra” e lo fa al cospetto e tessendo le lodi di un presidente che ha accettato di eseguire con estrema diligenza e sollecitudine i diktat guerrafondai della NATO a dispetto degli interessi della nazione e del popolo italiano.
Attraverso il canto amoroso per la Carta Costituzionale Benigni consacra Mattarella in un ruolo che non gli è mai appartenuto.
Compie il più grave degli oltraggi diventando correo di chi ha permesso lo svuotamento della Costituzione rendendola un pezzo di carta utile solo per la retorica, non certo per la vita.
Ma in fondo siamo a Sanremo... Canta che ti passa!
Marco Pozzi
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