01 Settembre 2022
Sempre alla ricerca di equilibrio tra prestigio autoriale e star system, la 79. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia ha scelto White Noise di Noah Baumbach come film d'apertura del Concorso Ufficiale. Adattare l'omonimo romanzo di Don DeLillo non era affatto semplice, ma Baumbach - alle prese con la sua prima sceneggiatura non originale dopo successi come Frances Ha e Storia di un matrimonio - si mantiene fedele alla natura postmoderna del libro, pur ricombinando alcuni passaggi e modificando varie scene. Adam Driver è Jack Gladney, professore universitario di Iron City a metà degli anni Ottanta: tiene un corso su Adolf Hitler, chiacchiera di massimi e minimi sistemi con il collega Murray Siskind (Don Cheadle), e vive un'esistenza tranquilla con la moglie Babette (Greta Gerwig) e quattro figli. L'esposizione a un gas molto pericoloso, diffuso nell'atmosfera in seguito a un incidente, lo costringe però ad affrontare il suo terrore della morte, mentre Babette prende in segreto delle misteriose pillole, e il brusio della contemporaneità (il rumore bianco del titolo, quella sovrapposizione di voci e suoni che ci accompagna nella vita quotidiana) diventa onnipresente. Non può avere la profondità del romanzo di DeLillo nelle sue riflessioni sulla morte, eppure Baumbach sa rendere l'idea di quanto folle, stralunato e surreale possa essere il nostro mondo, dove incidenti mortali divengono entertainment e i prodotti di consumo sono venerati come i tiranni delle dittature novecentesche.
Meno riuscito è il film d'apertura di Orizzonti, sezione incentrata sul cinema più di ricerca, con autori solitamente all'opera prima o seconda. Princess di Roberto De Paolis racconta la storia dell'eponima ventenne nigeriana, una ragazza che si prostituisce nei dintorni di Roma: seguiamo le sue vicende da un cliente all'altro, fino al rapporto con un uomo (Lino Musella) che sembra avere una sensibilità diversa dalla media. De Paolis ha scritto il film insieme alla protagonista Glory Kevin e alle altre attrici, che interpretano personaggi ispirati alle loro stesse esperienze, ma scivola nei soliti cliché sul white savior e sull'infantilizzazione delle lavoratrici del sesso. Il suo pregio è di evitare quantomeno il pietismo più ricattatorio: le protagoniste, diversamente da ciò che vediamo di solito, sono infatti calate in una comunità culturale e religiosa più vasta, e hanno anche una vita che esula dal sex work.
Il Concorso Ufficiale è poi proseguito con Tár di Todd Field, straordinaria performance di Cate Blanchett nel ruolo di una direttrice d'orchestra americana (fittizia) che vive in Germania. Algido e misurato come la stessa protagonista, il film ci offre un ritratto femminile complesso e per nulla compiacente: Lydia Tár, acclamata in tutto il mondo anche come musicista, gestisce un'orchestra di Berlino con brillante fermezza, ma le fondamenta della sua vita familiare e professionale cominciano a sgretolarsi quando la sua condotta viene messa in discussione. La durata monumentale - più di due ore e mezza - permette a Field di svelare per gradi il vero carattere di Lydia, denudando il marciume dietro le sue posizioni anti-woke (che hanno suscitato il prematuro entusiasmo di alcuni giornalisti in sala). Il fatto che Blanchett abbia realmente diretto un'orchestra è impressionante, ma è la sua dedizione al personaggio in ogni singolo istante del film - compreso il primo terzo, molto verboso e basato sui dialoghi - a restare davvero nella memoria.
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