L’integratore che potrebbe prevenire centinaia di malattie, ma che viene sistematicamente sottodosato
14 Dicembre 2025
VITAMINA D
Per decenni è stata liquidata come una semplice “vitamina per le ossa”. Oggi la letteratura scientifica racconta una storia molto diversa: la vitamina D è uno dei principali regolatori biologici dell’organismo umano, con un ruolo centrale nel sistema immunitario, nel metabolismo, nella salute mentale e nella prevenzione di numerose patologie croniche, incluso il cancro.
Eppure, nonostante migliaia di studi, continua a essere minimizzata, sottodosata o ignorata. Un caso raro di consenso scientifico sistematicamente disatteso.
Partiamo dalle origini:
una storia rimossa perché probabilmente la vitamina D era diventata una “pericolosa” concorrente degli interessi dell’industria farmaceutica globale.
Già negli anni Venti del Novecento, dopo la scoperta di un metodo economico per produrre grandi quantità di vitamina D, questa venne utilizzata in modo esteso negli Stati Uniti, con importanti benefici sulla salute pubblica. Proprio quel successo attirò però l’attenzione delle autorità regolatorie e delle lobby farmaceutiche.
Un singolo esperimento mal condotto su pochi studenti, sottoposti a dosi estreme, fu sufficiente per etichettare la vitamina D come “potenzialmente tossica” e giustificarne il ritiro dal mercato. Studi successivi, molto più ampi e rigorosi, compreso il celebre rapporto Steck, durato nove anni e condotto su centinaia di soggetti , arrivarono a conclusioni diametralmente opposte, mostrando un’ampia tollerabilità anche a dosaggi elevati. Tali risultati furono però largamente ignorati. Da allora, la vitamina D è rimasta intrappolata tra evidenze scientifiche robuste e una prudenza normativa eccessiva che, ancora oggi, ne limita l’uso efficace.
Il grande equivoco: i dosaggi che non funzionano
Le dosi comunemente raccomandate (400–800 UI al giorno) non sono terapeutiche. Non correggono la carenza, non portano a livelli sierici biologicamente attivi e non producono gli effetti osservati negli studi più rilevanti.La maggior parte dei benefici documentati emerge solo quando i livelli ematici di 25-idrossivitamina D (25(OH)D) superano determinate soglie, spesso 60–80 ng/mL, e in molti contesti 90–100 ng/mL.
Sistema immunitario, infezioni e Covid
La vitamina D modula l’immunità innata e adattativa, riduce l’eccesso di citochine infiammatorie e migliora la risposta antivirale.Durante la pandemia da Covid-19, studi osservazionali — inclusi contributi dell’area accademica torinese — mostrarono come le forme più gravi e letali fossero associate quasi invariabilmente a una grave carenza di vitamina D, soprattutto negli anziani. Un fattore noto, misurabile, ma rapidamente accantonato.
Cervello e salute mentale
La vitamina D è coinvolta nella sintesi di serotonina e dopamina, nella neuroprotezione e nella regolazione dell’infiammazione cerebrale. Livelli bassi sono associati a depressione, disturbi dell’umore, aumento del rischio di suicidio e declino cognitivo. Anche in questo ambito, gli effetti clinicamente rilevanti emergono solo superando le soglie considerate “normali” dalla pratica corrente.
Ossa, muscoli e metabolismo
Sul piano muscolo-scheletrico la vitamina D:
Sul piano metabolico:
Vitamina D e cancro
La prevenzione che nessuno vuole chiamare prevenzione. Mettiamola così: se una ricerca mostrasse che livelli ematici ritenuti “tossici” riducono il rischio di cancro anche dell’80%, cosa pensereste? Che sarebbe una scoperta epocale. Che meriterebbe premi Nobel e campagne di prevenzione globali. E invece no. Perché quella sostanza è la vitamina D. Non esiste una sola ricerca a sostenerlo. Ne esistono molte. Le revisioni epidemiologiche e gli studi clinici mostrano una relazione inversa forte e consistente tra i livelli di 25(OH)D e l’incidenza/mortalità di numerosi tumori, tra cui colon-retto, seno, polmone, prostata, pancreas, ovaio e linfomi non-Hodgkin. In termini semplici: più alta è la vitamina D, minore è il rischio di ammalarsi.
Mantenere livelli sierici 30–50 ng/mL, idealmente 40–60 ng/mL, è associato a:
La conclusione della letteratura è netta: dopo oltre 40 anni di ricerche, è scientificamente ingiustificabile ignorare la correzione della carenza di vitamina D come strategia di prevenzione oncologica sicura, economica e potenzialmente salvavita. La vitamina D costa pochissimo. In estate è persino gratuita. Ed è forse proprio questo il problema. Riferimento chiave: Muñoz A., Grant W.B., Nutrients, 2022.
Dosaggi emersi dalla letteratura
Le dosi basse non funzionano perché non superano la soglia biologica necessaria ad attivare i meccanismi immunitari, antinfiammatori e antitumorali.
Vitamina K2: il cofattore indispensabile
Quando si usano dosaggi elevati di vitamina D è essenziale associare vitamina K2, che indirizza il calcio verso le ossa e ne impedisce il deposito nei vasi.
Regola pratica: per ogni 10.000 UI di vitamina D3 → 100–200 mcg di vitamina K2 (MK-7) Assunzione quotidiana, insieme alla D, con un pasto contenente grassi.
Attenzione al sovradosaggio prolungato: cosa dice davvero la scienza
Come ogni sostanza biologicamente attiva, anche la vitamina D può dare effetti collaterali se assunta a dosaggi molto elevati e per periodi prolungati senza controllo. La tossicità, per quanto rara, è legata soprattutto all’ipercalcemia e si osserva quasi esclusivamente con assunzioni croniche estreme, spesso senza monitoraggio e senza cofattori.La fisiologia naturale smentisce però l’idea di una tossicità “facile”: una breve esposizione solare può portare l’organismo a produrre 10.000–20.000 UI al giorno, grazie a meccanismi di autoregolazione. Studi moderni, inclusi quelli su donne in gravidanza con 4.000 UI/die, e casi clinici documentati anche con dosaggi superiori, non hanno mostrato effetti avversi clinicamente rilevanti.Persino l’Institute of Medicine statunitense indica 10.000 UI/die come limite superiore di sicurezza. La conclusione condivisa è semplice: il rischio reale non è l’eccesso controllato, ma la carenza cronica non corretta. La chiave resta il monitoraggio periodico, l’uso dei cofattori e il buon senso clinico.
Conclusione
La vitamina D non è una moda. Non è un integratore “alternativo”. Non è un farmaco. È un regolatore biologico centrale, prodotto anche naturalmente dal nostro corpo a seguito dell'esposizione alla luce solare, misurabile nel sangue; un integratore sicuro, economico e non brevettabile. Ed è proprio per questo che, da anni, se ne riduce il ruolo. La ricerca medica indipendente, però, racconta un’altra storia.
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