07 Dicembre 2025
Studi vaccino Covid, vaccinati considerati non vaccinati nei primi 14 giorni dopo la prima dose
Loredana Frasca, ricercatrice di immunologia dell'Iss (Istituto Superiore di Sanità), ha spiegato a Il Giornale d'Italia che moltissimi studi sulla mortalità e su altri effetti avversi causati dai vaccini Covid sono viziati da "bias della finestra di conteggio" che comportano una distorsione nei numeri: i decessi e le reazioni avverse dei vaccinati nei primi 14 giorni dopo la prima dose (talvolta anche nei primi 21 giorni oppure fino alla seconda dose e nei primi 14 giorni dopo la seconda dose) vengono calcolati nei decessi dei non vaccinati. Di conseguenza, gli studi condotti sulla base di questi bias aumentano artificialmente la mortalità tra i 'non vaccinati' e riducono la mortalità tra i vaccinati.
Correggendo il bias, invece, sono stati evidenziati risultati peggiori per la mortalità per tutte le cause nei vaccinati rispetto ai non vaccinati.
L'analisi che segue è stata inviata dalla dottoressa Frasca a Il Giornale d'Italia a titolo personale.
Nel mese di novembre u.s. sono stati pubblicati degli studi interessanti sui cosiddetti “vaccini” COVID-19, che fanno riflettere, il primo: "Classification bias and impact of COVID-19 vaccination on all-cause mortality: the case of the Italian region Emilia-Romagna" ha esaminato dati ufficiali della Regione Emilia-Romagna, (ottenuti con un FOIA, cosa notevole) di mortalità generale e concomitante stato vaccinale tra dicembre 2020 e dicembre 2021. Lo studio conferma quanto precedentemente evidenziato da due matematici inglesi, Norman Fenton e Martin Neil, cioè una “distorsione della finestra di conteggio dei casi” che considera soggetti “non vaccinati” le persone nei 14 giorni dopo (in alcuni casi anche 21 giorni dopo) la vaccinazione. Conseguenza: se si tratta della prima dose, i vaccinati sono definiti non vaccinati, se si tratta della seconda dose si considera la persona come aver ricevuto solo una dose e così via. Anche se l’immunità necessita di almeno 14 gg per svilupparsi, ciò altera la percezione degli eventi avversi e dei decessi, i quali, quando avvengono, sarebbero attribuiti alla categoria precedente. Quindi, per esempio, se una persona muore per una morte temporalmente associata al vaccino (e quindi indotta dal vaccino?), questo evento è riportato come la morte di un non-vaccinato. È una pratica diffusa in tutto il mondo e secondo me (e secondo molti esperti) scorretta, che ricorre in numerosi lavori scientifici; a volte è dichiarato come sono state classificate le persone e lo sono in questo modo, ma altre volte si dà per scontato e non è neanche specificato.
Ecco una traduzione dei punti salienti del lavoro: gli studi sul mondo reale sull’efficacia dei vaccini possono soffrire di diversi bias, che solitamente ne distorcono i risultati. Un articolo precedente sulla popolazione di una provincia italiana, correggendo il “bias del tempo immortale”, mostrava risultati peggiori per la mortalità per tutte le cause nei vaccinati rispetto ai non vaccinati. Questo articolo evidenzia il “bias della finestra di conteggio dei casi”, che considera i destinatari del vaccino “non vaccinati” di solito per 14 giorni, un intervallo di tempo reputato necessario per esprimere la risposta immunitaria al vaccino. Ci proponiamo di documentare questo bias in una regione italiana, calcolando l’incidenza giornaliera dei decessi per ciascuna classe di età di vaccinati e non vaccinati e verificando la loro differenza di mortalità per tutte le cause all’interno della finestra temporale considerata. Infatti, in questa finestra i due gruppi mostravano enormi differenze nei decessi per tutte le cause, che non possono essere attribuite solo ai decessi da COVID-19 (in assenza di ragioni per aspettarsi effetti significativi del vaccino sui decessi non COVID-19).
In conclusione, analizzando i dati di una regione italiana, abbiamo trovato prove del 'bias della finestra di conteggio dei casi', che aumenta artificialmente la mortalità tra i 'non vaccinati' e riduce la mortalità tra i vaccinati.
Nonostante questi bias, penso sicuramente presenti anche nel recente lavoro, "Incidence of Respiratory Infections after the COVID-19 Pandemic (2023-2024) and Its Association of Vaccination Among Entire Populations in Korea", si possono evincere sicuramente dei dati molto interessanti. Il lavoro dice chiaramente che nei vaccinati, più dosi sono somministrate e più raffreddore e infezioni della parte alta delle vie respiratorie sono favorite.
Una ulteriore distorsione riguarda il fatto che la categoria dei non-vaccinati (in questo lavoro) contiene le persone senza alcuna dose e persone con la prima dose. Se fosse stato adottato il criterio richiamato nel primo lavoro citato, nella categoria non vaccinati andrebbero a confluire sia le persone che hanno avuto una dose di vaccino, che quelle che hanno avuto la seconda dose, ma entro quattordici giorni dalla somministrazione. È facile intuire come ciò distorca la realtà. Qualsiasi decesso avvenuto entro l’intervallo tra la prima e la seconda dose e anche nei 14 gg dopo la seconda dose sarebbe attribuita a persone non vaccinate.
Come indicato, nonostante questi bias il lavoro dimostra, tra molte alte cose [aumento generale di infezioni varie, tranne la pertosse (cosa incomprensibile e difficile da spiegare) nella popolazione post-pandemica (dovuta a un indebolimento generale della popolazione che ha avuto il COVID-19?)], che c’è un aumento di morbidità per infezioni varie tra i vaccinati con più dosi, anche maggiori di quattro.
Anche la tubercolosi è aumentata, ma il dato, come spesso accade, è più facilmente identificabile nelle tabelle supplementari (e non menzionato apertamente nelle conclusioni).
La sensazione è che si voglia ammettere qualcosa, ma non tutto. Il database del secondo lavoro contiene i dati "dell’intera popolazione della Korea”.
La letteratura scientifica riporta ormai una serie di eventi avversi lunghissima ed anche decessi avvenuti in concomitanza con i cosiddetti “vaccini COVID-19”; le miocarditi nei giovani sono state aggiunte ai bugiardini degli eventi avversi dei produttori dei vaccini.
Nonostante questo, c’è una reticenza a trattare l’argomento, e un recente report sul British Medical Journal ne è la spia. Il titolo è: “Is the UK government “withholding data linking covid vaccines to excess deaths”?”. In questa News Analysis diversi scienziati e immunologi prontamente smentiscono eventi avversi e segnali di pericolo e dichiarano ancora una volta che i benefici dei preparati COVID-19 superano i rischi quando oramai negli Stati Uniti è stato assodato che è il contrario.
Tra l’altro, già durante la Pandemia, l’attuale Direttore del NIH americano dichiarava in interviste che, al massimo, il cosiddetto vaccino poteva avere una ragione nei molto anziani, ma non in persone giovani. Ovviamente la sua voce al tempo è stata censurata, ora il Prof. Jay Bhattacharya è capo dell’NIH. Nonostante questo, l’articolo del BMJ conclude, riportando le dichiarazioni di esperti: “Se mai, dovremmo essere preoccupati per l'accesso sempre più limitato a questi incredibili interventi (i vaccini, ndt) e per la crescente disinformazione e compiacenza che stanno influenzando negativamente l'adozione dei vaccini ovunque. Rischiamo di seguire l'esempio dell'America in una spirale discendente, dove motivi antivaccino mascherati da ‘scetticismo’ erodono ulteriormente uno dei nostri interventi di sanità pubblica più importanti.”
Non resta che attendere ancora un po’ per vedere l’epilogo di questa diatriba.
(Qualsiasi commento contenuto nell’articolo è reso a titolo totalmente personale).
Loredana Frasca è una ricercatrice italiana specializzata in immunologia, lavora all’Istituto Superiore di Sanità di Roma, presso il Centro Nazionale per la Salute Globale. È leader di un gruppo di studi dedicato all’immunologia delle malattie autoimmuni. Ha conseguito la laurea in Scienze Biologiche nel 1992 e il dottorato di ricerca in Immunologia cellulare nel 1996. Tra i suoi ambiti di ricerca, le reazioni avverse ai vaccini, in particolare nei soggetti fragili e con patologie autoimmuni, lo studio degli anticorpi anti-farmaco in malattie come la psoriasi e la sclerosi sistemica, l'analisi dei meccanismi immunologici che regolano la risposta ai trattamenti biologici. Ha firmato oltre 70 articoli scientifici su riviste internazionali, tra cui International Journal of Molecular Sciences e Annals of the Rheumatic Diseases.
In passato ha lavorato come collaboratore scientifico per l'Università di Losanna, per la University of Texas MD Anderson Cancer Center e anche per l'Imperial College London.
Tra le ricerche di cui si è occupata in collaborazione con altri ricercatori, compaiono "I complessi CXCL4-RNA circolano nella sclerosi sistemica e amplificano le risposte infiammatorie/pro-fibrotiche delle cellule dendritiche mieloidi", "Gli anticorpi anti-CXCL4 eparina-indipendenti ed eparina-dipendenti hanno un'espressione reciproca in una coorte di pazienti con sclerosi sistemica", "Potenziale ruolo patogenetico dei peptidi antimicrobici trasportati da vescicole extracellulari in un modello psoriasico in vitro", "L'interferone di tipo I senza sosta accelera l'autoimmunità delle cellule B e la formazione di anticorpi anti-farmaco durante la terapia anti-TNF" e molte altre.
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