01 Settembre 2022
fonte: facebook
La compassione ci appartiene e ci anima, è un antidoto protettivo e preventivo per affrontare la sofferenza e si può allenare con esercizi e protocolli testati scientificamente. Da circa 30 anni è oggetto di ricerca con molte evidenze scientifiche a sostegno dei benefici fisici, emotivi e cognitivi in chi la riceve e in chi la pratica.
Pur non essendoci una definizione univoca di compassione, si può descriverla come predisposizione empatica e sensibilità di percepire la sofferenza propria e altrui seguita da un desiderio di agire per alleviarla e prevenirla. Il desiderio di attenuare il dolore e la sofferenza ci appartiene a livello evolutivo: i nostri cervelli si sono cablati per fronteggiare le principali sfide di difesa, sopravvivenza e cura della prole. Siamo attrezzati di un sistema affettivo innato dell’affiliazione e della cura, dal quale dipendono empatia e compassione. Accudire e prendersi cura significa aver a cuore qualcuno, accogliere i suoi bisogni, sentire la sua sofferenza e desiderare di alleviarla: la mamma che sente il pianto del proprio bimbo, l’amico che ascolta, il caregiver che si occupa del proprio caro, il medico che cura, diventano competenze compassionevoli quando sono sostenute dalla presenza e dalla consapevolezza.
In particolare, le ricerche confermano che le persone operanti nel settore sanitario sono più a rischio proprio per la maggior sensibilità a percepire e sentire empaticamente la sofferenza dei pazienti. La disattenzione, l’indifferenza e l’errore sono causati da un elevato livello di compassion fatigue, un tipo di esaurimento emotivo con sintomi simili a un disturbo post traumatico da stress (incubi, alterazioni emotive, disagi cognitivi), oltre a una diminuzione del senso di sicurezza, un aumento del cinismo e disconnessione relazionale con le persone. Il punto debole sembra essere nella non consapevolezza di riconoscere sé stessi come bisognosi di cura. Quindi come sentire il dolore altrui senza esserne sopraffatti, come garantire la disponibilità emotiva e professionale senza esaurire le proprie risorse, come trasformare in soddisfazione da compassione il proprio lavoro per sentirsi felici, vitali e grati di poter essere di aiuto e fare la differenza nel mondo? Praticare la Self Compassion per diventare compassionevoli con sé stessi, per reagire alla sofferenza in maniera accudente e premurosa con gentilezza, tenerezza e consapevolezza amorevole. Una modalità naturale per gestire meglio le emozioni, diminuire l’ansia e depressione, calmarsi e confortarsi, evitare di essere drenati dall’aiutare e imparare a tenersi in un abbraccio amorevole per poter esser di sostegno e conforto agli altri. Poiché non è un vezzo essere compassionevoli, non è una debolezza e una vulnerabilità, non è una moda ma, al contrario è un’opportunità intelligente per una vita migliore, per generare relazioni buone e solide, per stimolare una cultura sociale di benessere e prosperità.
Di Alessandra Zoia, fonte: Corriere della Sera
Alessandra Zoia è Psicologa Psicoterapeuta ad indirizzo relazionale umanistico, Practitioner in EMDR per risoluzione dei traumi e Teacher in Mindfulness Self Compassion. Inoltre, è autrice del libro "Difesa personale per la donna" , instruttore di Karate e allenatore di cultura fisica per oltre 25 anni. La psicoterapeuta è stata premiata "Donna Sport" dal Comune di Milano per aver contribuito alla diffusione dello sport al femminile ed aver avviato numerosi corsi di difesa personale.
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