17 Novembre 2025
Meloni, fonte: imagoeconomica
Se il Financial Times e l’Economist plaudono il governo Meloni e la presidente Meloni significa che il governo Meloni sta agendo esattamente come vogliono i mercati finanziari, gli investitori. Insomma è establishment.
È una buona notizia? È una cattiva notizia? Il dibattito ha poco senso: l’importanza dei mercati è fondamentale ma è sempre più eccessiva nel senso che godere del suo appoggio diventa condizione necessaria e persino sufficiente per fare quadrare i conti e avere stabilità. Destra e sinistra possono limitarsi al teatrino ma poi, se rispettano la liturgia neoliberista, sono uguali perché non hanno margini per fare politica. Ora, qui la questione cambia passo, nel senso che c’è chi sostiene la marginalità della politica (“Meglio che non tocchino troppo palla perché sono inadeguati”) e chi invece ne sostiene la centralità (“allora che senso ha la democrazia se la sovranità non appartiene più al popolo?”): non è una questione di poco conto. Soprattutto se si pensa all’astensionismo dilagante.
Ieri sera ho partecipato al dibattito su Rete4 condotto da Barra e Poletti e non ho retto di fronte alla litania della eurodeputata della Lega Isabella Tovaglieri che si rallegrava del fatto che questo governo ha anticipato di un anno l’uscita dell’Italia dalla procedura di infrazione comminata dall’Europa, come a dire: come siamo stati bravi a fare i compiti assegnati da Bruxelles.
Questa frase ha un senso per una forza europeista ma la Lega non è mai stata una forza europeista, pertanto rallegrarsi di una manovra pienamente rispettosa dei parametri Ue fa ridere! Essere una forza che contesta l’Unione europea significa rifiutarne la logica contabilistica, neoliberista; significa avere il coraggio di guardare alla crescita economica di famiglie e imprese, il che non coincide esattamente con le priorità dei mercati i quali giocano su planimetrie più estese. Non è un caso che l’editore dell’Economist sia la famiglia Elkann che di questa planimetria conosce ogni punto cardinale: in Italia (dove ormai si sentono sempre più stranieri); in Europa (dove Stellantis ha diversi baricentri a seconda che si tratti di fabbriche, di sede legale o di sede fiscale: tutto dove conviene di più); in America (Elkann è anche nel board di Meta) e altrove. Ed è imbarazzante registrare il doppio binario della nuova dinastia Agnelli: plaude al governo con l’Economist e con Donald Trump (con il presidente Usa era nel tour del Golfo arabo, con lui era dopo la vittoria elettorale e da lui ha portato la Juventus) e poi mena il governo con la Repubblica e la Stampa, giornale di cui non vede l’ora di sbarazzarsi.
Il consenso della grande finanza alla stabilità della Meloni e del suo esecutivo è un consenso che spiazza tutti coloro che invece avevano scommesso su un atteggiamento diverso, un po’ più spettinato verso le regole restrittive e austere, cardini del vecchio e del nuovo patto di stabilità. Non se lo aspettavano e su quella scommessa avevano pensato di costruire la loro piattaforma per tornare al governo, come a dire: “Avete visto? Noi siamo più affidabili di loro”, dove affidabile significa “conforme al sistema”. Invece la Meloni si è piazzata come forza di establishment affidabile e gioca da top player nel campo centrale del grande torneo: lei governa nel pieno rispetto delle regole di sistema, gioca d’anticipo sulla procedura di infrazione così da lasciarsi un po’ di margine per la prossima manovra dove potrà - anche questo è nei patti - recuperare consenso popolare. Che è il campo laterale del torneo.
Per restare nella metafora: nel campo principale si gioca per i mercati (80%), nel campo laterale si gioca per l’economia reale (20%). Il campo laterale concede lo spazio per stare nell’esercizio della dialettica politica, quella che si riconnette alle promesse e alla retorica elettorale. Che infatti viene puntualmente disattesa. Non è un caso che, in questa visione, la maggioranza - per crearsi la scusa da giocare in televisione, si fa scudo del Superbonus, divenuto il male assoluto, il grande macigno. Ma è una fesseria che non si può più sentire. È infatti anche su questo ieri sera ho battibeccato con la Tovaglieri: dopo tre anni non si può ancora sentire questa fesseria del Superbonus di Conte, perché se Conte è stato il padre, Draghi ne è stata la madre visto che lo finanziò con l’appoggio di tutte le forze politiche dai Cinquestelle a Forza Italia, dal Pd alla Lega. Tutti dentro tranne Fratelli d’Italia, che tuttavia non si espresse mai contro il Superbonus in sé ma ne propose qualche correttivo per sostenere l’edilizia, gran motore dell’economia reale italiana.
di Gianluigi Paragone
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