09 Novembre 2025
Carlo Nordio (foto da https://twitter.com/marcocicchelli)
Una riforma storica per la giustizia italiana
Il Parlamento italiano ha approvato in via definitiva la riforma Nordio che introduce la separazione delle carriere dei magistrati. Dopo decenni di dibattiti e promesse, il governo Meloni realizza uno dei punti storici del programma del centrodestra: distinguere in modo netto chi accusa da chi giudica. Il voto conclusivo al Senato ha sancito la chiusura delle quattro letture previste per le revisioni costituzionali. Ora la parola passa ai cittadini: in primavera si terrà il referendum confermativo, senza quorum, che potrebbe sancire un nuovo equilibrio tra poteri dello Stato.
Due carriere, due Csm e una nuova architettura del potere giudiziario
La riforma modifica l’articolo 104 della Costituzione, chiarendo che la magistratura è composta da due ordini distinti: giudicante e requirente. Ogni magistrato dovrà scegliere all’inizio della carriera se essere giudice o pubblico ministero, senza possibilità di passaggio. Nascono anche due Consigli Superiori della Magistratura, uno per ciascun ordine, entrambi presieduti dal Presidente della Repubblica. Il potere disciplinare, oggi in capo al CSM, passerà invece alla nuova Alta Corte disciplinare, composta da magistrati, giuristi e membri di nomina parlamentare. Una scelta che punta a ridurre il potere delle correnti interne e le degenerazioni corporative che, negli anni, hanno minato la credibilità della giustizia italiana.
Nordio e la filosofia della riforma: il giudice come garante imparziale
Per il ministro della Giustizia Carlo Nordio, ex magistrato e liberale garantista, questa riforma rappresenta una rivoluzione culturale. L’obiettivo è garantire la terzietà del giudice, sottraendolo a ogni influenza proveniente dal corpo requirente, e restituire ai cittadini la fiducia in un sistema percepito come politicizzato. L’Italia, del resto, era rimasta una delle poche democrazie europee a mantenere un’unica carriera. In Francia e Spagna, per esempio, il pubblico ministero risponde in parte al ministero della Giustizia, senza che ciò comprometta l’indipendenza del giudice.
Le critiche della sinistra e la posta in gioco politica
Le opposizioni — PD, M5S e AVS — hanno votato contro, accusando il governo di voler asservire la magistratura all’esecutivo. Parlano di rischio autoritario, evocano un futuro in cui il pubblico ministero diventi “braccio armato del potere politico”. Tuttavia, tali argomenti appaiono strumentali. La riforma non tocca l’obbligatorietà dell’azione penale né l’autonomia funzionale dei pm, ma delimita chiaramente i ruoli. Il vero nervo scoperto è che la magistratura, da decenni, esercita un potere di fatto senza contrappesi democratici, intervenendo spesso nel campo politico e mediatico.
Verso il referendum: la sfida della sovranità popolare
Il referendum costituzionale di primavera non avrà quorum: basterà la maggioranza dei voti validi per confermare o respingere la riforma. Per il centrodestra sarà un banco di prova politico, ma anche un passaggio di maturità democratica. Dopo anni di “supplenza giudiziaria”, il Paese è chiamato a scegliere se vuole una giustizia più equilibrata, efficiente e rispettosa dei ruoli, oppure continuare a subire l’egemonia di un potere autoreferenziale. In un’epoca in cui l’Occidente vive crisi di fiducia nelle proprie istituzioni, l’Italia prova a ripensare il rapporto tra libertà e potere, tra giudizio e accusa. E, in controluce, riaffiora una domanda di fondo: chi controlla i controllori?
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