28 Dicembre 2024
Federico Caffè e Vittorio Emanuele Orlando
In un memorabile discorso alla Camera del 30 luglio 1947, l’ottantasettenne Vittorio Emanuele Orlando (l’ex Presidente del Consiglio dei Ministri che aveva rappresentato l’Italia alla conferenza di Pace di Parigi nel 1919/1920), puntò il dito contro Alcide De Gasperi stigmatizzando quello che - col senno di poi – può essere considerato il nostro principale vizio nazionale: la cupidigia di servilismo.
Per cupidigia di servilismo l’Italia è diventata una Nazione a sovranità limitata dove agli Stati Uniti tutto è permesso. Cambiano i Governi e i Presidenti del Consiglio, ma nessuno – eccetto Bettino Craxi a Sigonella – è venuto meno al vizio di compiacere - a tutti i costi – gli americani.
Ma la cupidigia di servilismo va ben al di là del rapporto con gli Stati Uniti: emblematiche le dichiarazioni di tutti – nessuno escluso – fatte per oltre settant’anni a favore dell’Europa.
Tra i peggiori, spiccano senza ombra di dubbio Beniamino Andreatta e Romano Prodi: se la Storia venisse scritta da persone oneste intellettualmente, li si dovrebbe condannare per avere sistematicamente anteposto gli interessi di chiunque altro a quelli degli italiani.
Nel delirio di servilismo, sono arrivati a teorizzare la necessità di un vincolo esterno, cioè di una necessaria (e benefica) soggezione della politica italiana alle influenze esterne.
Contro questo miscuglio malsano di bramosia di mostrarsi i più servili tra i servi, miopia macroeconomica e demagogia buonista - in cui i buoni sono sempre stranieri - da cattocomunisti, Federico Caffè scrisse articoli che faremmo bene a rileggere di tanto in tanto.
“Subordinare occupazione e salari al vincolo della bilancia dei pagamenti è pura follia. Il sistema giusto è quello di far servire la bilancia dei pagamenti, con appropriate scelte politiche, agli obiettivi di occupazione e di salari”.
Federico Caffè è scomparso due volte: la prima il 15 aprile 1987 quando uscì di casa all’alba e sparì, la seconda il giorno in cui alcuni tra i suoi allievi più brillanti lo tradirono, facendo tutto il contrario di ciò avrebbe fatto il Professore.
Riscoprire che esiste un interesse nazionale – a volte confliggente con quello degli Stati Uniti – dovrebbe essere la missione della politica italiana.
140 basi americane sul nostro territorio, scene rivoltanti ogni volta che i nostri politici vanno a Washington con l’atteggiamento dei figli della serva invitati al pranzo di Natale dai padroni.
La politica economica italiana non esiste più e nessuno se ne cura. Ho orrore di Raffaele Fitto e compagnia bella, incaricati di spartire le elemosine. Esempio della peggiore politica clientelare portata all’estero, a conferma che, come diceva Leonardo Sciascia, la “linea della palma” sale al Nord.
Il padrone ci impone di comprare più armi e gas liquefatto e non una voce si alza per muovere un’obiezione.
Vi è un consenso politico che sfiora l’unanimità nell’assecondare ogni desiderio di Washington ed è questa bramosia di servilismo che ci ha condotto alla rovina.
Tuttavia, è doveroso osservare, come già fece Federico Caffè, che il consenso non deve essere visto come “un’intesa ai vertici delle forze politiche. Anche a voler sorvolare sulla spregiudicatezza “machiavellica” di un atteggiamento del genere, stupisce che sfugga l’assoluta precarietà di ogni consenso, quale che ne sia l’avallo politico, ove esso non poggi su convincimenti che emergano direttamente dal basso”. Queste parole, scritte cinquant’anni fa, rappresentano perfettamente l’Italia, di allora e di oggi.
Governanti senza un consenso “che emerga direttamente dal basso” non governano, obbediscono.
Servi senza dignità, dimentichi degli interessi nazionali, occupano le più alte cariche politiche, nessuna esclusa.
E altri servi, meno importanti ma non meno dannosi, chiamano ancora tutto questo, sulle pagine dei nostri quotidiani, democrazia.
Dimentichi che chi si comporta da servo verrà trattato come tale.
di Alfredo Tocchi, Il Giornale d’Italia, 28 dicembre 2024
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