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"La libertà innanzi tutto e sopra tutto"
Benedetto Croce «Il Giornale d'Italia» (10 agosto 1943)

Alla fine Meloni sembra sfilarsi dal "tutti per Ursula, Ursula per tutti". Troppo tardi. Mentre la Lagarde a capo della BCE: "Vaccinare senza esitazioni"

Gentiloni intanto conferma l'attitudine totalitaria di sinistra: "Von der Leyen merita la riconferma per come ha gestito la pandemia". Cioè nel modo più criminale dalla seconda guerra mondiale. Un abominio che si punta a ripetere in modo ancora più feroce

18 Luglio 2024

giorgia ursula compari

Il commissario europeo Gentiloni, piddino, se ne esce con una frase che suona come una provocazione feroce: “Ursula von der Leyen merita la riconferma per come ha gestito la pandemia”. Poche ore dopo il ministro Lollobrigida, cognato della premier, a un convegno: “Noi con Ursula tutta la vita”. Il gioco dei messaggi, dei rimandi, è esemplare: tutti a rimorchio del potere resiliente, sconfessato alle elezioni ma non disposto a farsi da parte perché sostenuto dalla finanza truffaldina dei filantropi carnivori, i Gates, i Soros. Gentiloni non delira come Biden, sa benissimo cosa dice e perché lo dice: noi non chiediamo scusa, noi abbiamo fatto l’abominio che abbiamo fatto e lo rivendichiamo con la iattanza del potere che non si scalfisce; dalla parte dei nazionalisti sedicenti avversari della UE del dominio sovranazionale, immediatamente si accusa ricevuta. Tutti dentro! Tutti a reggere lo strascico della Baronessa terminale del potere antidemocratico, dalla sinistra sovversivista dei Verdi, delle Salis, a quella affarista della corruzione qatarina e maghrebina, fino alla destra più diligenziale che dirigenziale, nel senso dell’assalto alla diligenza. Fin che dura.

Di fronte ad una enormità come quella di Gentiloni uno si aspetta che la premier fino a ieri ipercritica, spietata contro i metodi della UE dirigista e autoritaria, eccepisca almeno il minimo sindacale: Giorgia manda avanti il cognato a dire “eccoci, siamo pronti”. Con alcuni corifei e intrattenitori che, per l’occasione, spiegano: ma sì, fa benissimo, la coerenza è patetica, si va, si corre dove sta il potere. Per dire i soldi. La gente in teatro non gradiva, ma che conta la gente la quale vota per vedere il suo voto ridotto a carta straccia?

Se una premier proveniente dal post fascismo non trova da ridire sul cinismo di un patrizio marchigiano formatosi nel sovversivismo snob di Servire il Popolo, vuol dire che concorda su tutto: sul regime sanitario, sullo stato di polizia, sul ricatto dei sieri genici tossici e mortiferi, sulla discriminazione, sul totalitarismo di fatto, sul controllo ossessivo, sulla censura tramite social, sul conformismo dell’informazione corrotta, sull’irresponsabilità istituzionale, sull’incitamento all’odio e alla discriminazione, “chi non si vaccina venga deportato, venga ucciso”, fino al climax dal Quirinale: “Non si invochi la libertà per non vaccinarsi, non venga dato spazio a chi non si vaccina”. Che Meloni di fronte a tutto questo fosse rimasta alla finestra, senza compromettersi, era chiaro e qualcuno lo aveva anche giustificato confidando in un cambio di passo una volta al potere. Il cambio di passo c’è stato, ma nella direzione opposta, nell’ambivalenza opportunistica, nel tatticismo avventurista e autolesionista. Fino all’ultimo, convulso, ennesimo voltafaccia: la votiamo? Non la votiamo? Lo diciamo dopo, facciamo il gioco delle tre carte. Alla fine pare che la fazione della premier italiana si sia tolta di mezzo, a quanto si è capito. Ma in questo modo ambiguo e cretino è come se l’avessero votata. Tra l’altro, pare che la decisione finale sia maturata nella presa d’atto che la vicepresidenza al meloniano Fitto non sarebbe scattata: ottenerla avrebbe salvato la patria?

Meloni, non ci stancheremo mai di ripeterlo, non ha niente a che fare col fascismo, e probabilmente neppure con la destra, di cui coglie giusto certi vezzi estetici; ma di Mussolini ha l’attitudine al trasformismo, l’istinto ai proclami da balcone che velano una attitudine possibilista, compromissoria. Alla fine la Baronessa della siringa non l’hanno votata, ma per mero calcolo, non per convinzioni politiche ed etiche: si torna alla finestra, come ai tempi della finta opposizione italiana, prima della conquista del potere, recitando ancora il ruolo di quelli tutti d’un pezzo che attaccavano i manifesti a Colle Oppio. La verità è che Meloni si è mossa da parvenu, consigliata anche in modo idiota, fino a ritrovarsi contro il muro di una consapevolezza angosciante: che farò quando l’Europa organizzerà la prossima pandemia pretestuosa, quando vorrà tornare al Panopticon sanitario, ambientale, energetico? Mi troverò costretta a giustificare ogni nefandezza ricorrendo alle ragioni superiori della reapolitik, scaricando il barile della responsabilità sul potere sovranazionale della OMS e della UE.

Il che non la avrebbe salvata dall’accusa di tradimento degli interessi nazionali, da un voltafaccia che già oggi, a prescindere dalle sue sconcertanti oscillazioni, le viene imputato da sempre più elettori pentiti e increduli. Da cui l’ultimo, mortificante voltafaccia in scia alla radiosa tradizione italiana per la quale Montanelli diceva: “Non abbiamo mai finito una guerra che fosse una dalla stessa parte in cui l’avevamo cominciata”.

Con quale faccia questi si presentavano, da nazionalisti, a sostenere “il cambiamento in Europa” consegnandosi agli stessi che l’hanno manovrata contro l’italia e per giunta dopo avere perso le elezioni? La fallimentare Lagarde ha messo in chiaro il programma della BCE che presiede: “Vaccinare, vaccinare, vaccinare a più non posso senza esitazioni”. Che c’entra la Banca centrale europea coi vaccini? C’entra se si considera l’affare colossale, autorigenerante sulla pelle dei cittadini, se si vedono queste pozioni velenose non come antidoti alle malattie ma come strumenti finanziari, prodotti alla stregua di fondi comuni, derivati o titoli, in tutti i sensi, tossici.

In questa chiave tutto, a partire dai piani pandemici, è fumo, è velo; in realtà il regime Meloni, anche se in extremis è sembrato rendersi conto dell’errore tragico in cui stava affondando, ha dato l’impressione di volersi disporre nel solco dell’autoritarismo paternalistico europeo. Decisione che di strategico non aveva niente e di tattico “pro domo” ha tutto. Si potrebbe ridimensionare la faccenda a machiavellismo d’accatto, non fosse che in gioco qui non sta l’eterno appetito della politica, non la corruttela endemica e consustanziale all’astrazione bruxellese. C’è in ballo la libertà residua, la salute, per chi ancora la conserva, la possibilità di continuare a vivere come cittadini in un regime di garanzia invece che come servi, mattoni compressi che si bloccano e si controllano l’un l’altro, senza più volontà, senza speranza, senza dignità. Quanto a dire le istanze politiche ed etiche che dovrebbero costituire l’orizzonte di una destra moderna, mondata da nostalgie fosche, capace di guardare avanti, al ritorno dell’individuo, all’affrancamento dallo statalismo dirigista. Ma Meloni e il suo cerchio magico provengono dalla destra sociale novecentesca, dal provvidenzialismo autoritario paternalista di stampo socialfascista e non ne guariscono, restano tenacemente nella percezione del Paese come substrato della cosa pubblica che resta un bell’osso da spolpare. Dal totalitarismo pandemico sono passati due anni ma non cessano gli effetti e non cessa il trauma diffuso: nessuno si è più ripreso, molti sono sprofondati nella depressione endemica, la violenza spicciola, in particolare giovanile, è esplosa, tanti hanno perso lavoro e possibilità di recuperarlo. Senza contare gli effetti sulla salute: i morti, le famiglie decimate, gli ammalati cronici, gli invalidi a vita. E adesso ci vengono a dire che è stato niente, che meritano un premio per tutto questo, che sono tutti solidali nel ripetere l’abominio. E sarebbe questo “cambiare l’Europa dall’interno”, sarebbe questo il “contare di più in Europa”?

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