Sabato, 06 Settembre 2025

Seguici su

"La libertà innanzi tutto e sopra tutto"
Benedetto Croce «Il Giornale d'Italia» (10 agosto 1943)

Draghi propone un "cambiamento radicale" per l'Europa, ecco qualche suggerimento per chi vuole rompere davvero con la globalizzazione neoliberista

Pensare di rafforzare l'Europa senza abbandonare l'ideologia monetarista di fondo renderebbe impossibile affrontare il mondo post-globale

17 Aprile 2024

Decreto riaperture, Draghi annuncia allentamento restrizioni: nuove norme

Mario Draghi (foto LaPresse)

Le dichiarazioni di Mario Draghi sulla necessità di un cambiamento radicale per l'Europa hanno avuto un grande eco in questi giorni. L'ex premier ha parlato della necessità di essere uniti, per poter agire di fronte alle politiche di Washington e Pechino che applicano in modo spiegato una strategia per garantirsi la leadership nelle tecnologie essenziali per l'economia mondiale.

Sembra che Draghi abbia capito l'importanza della politica industriale. Dice che non si può aspettare di cambiare i trattati europei, ma serve rispondere subito a un mondo dove le regole di mercato non vengono più rispettate. Così riconosce di fatto che è tornato il protezionismo e l'intervento pubblico, in barba ai sogni di una globalizzazione in cui gli stati perdevano il loro ruolo essenziale, di fronte ai mercati e alla finanza che potevano dettare legge.

Ora si vedono le conseguenze: un'Europa dove la strategia energetica sta fallendo, dove si perde capacità manifatturiera di alto livello, e dove i meccanismi istituzionali riflettono un mondo che non esiste più. Fin qui, sembra tutto bene, ma dato il personaggio, e anche il contesto istituzionale, bisogna subito porre delle domande importanti, facendo tesoro proprio degli errori passati dell'Unione Europea.

Prima di tutto, è essenziale riconoscere che sono le regole monetarie e sulla concorrenza che hanno favorito il depotenziamento produttivo, impedendo la politica industriale. L'intervento pubblico è stato criminalizzato da parte dei trattati europei; questo è un primo punto che va affrontato.

Strettamente collegato a questa visione è la questione dei conti pubblici. Finché l'Europa rimarrà legata agli assurdi parametri sul deficit e sul debito pubblico, che riflettono un'impostazione ideologica piuttosto che la realtà di come funziona l'economia, sarà impossibile creare la crescita sufficiente per competere nel mondo di oggi.

L'idea di mantenere il pareggio di bilancio e di ridurre il debito pubblico non risponde ad alcuna necessità reale: se la banca centrale funziona nel modo giusto, senza i limiti legali e politici attuali, può creare risorse (dal nulla, non prendendo in prestito da qualcuno) da destinare alle attività che producono innovazione e progresso tecnologico e sociale. L'ex governatore della BCE Draghi ha fatto dei timidi accenni a questa necessità in passato, ma ora serve dirlo apertamente: il Patto di Stabilità non va riformato per renderne più facile l'applicazione, va eliminato per permettere l'iniezione di risorse necessarie per stimolare l'economia.

C'è un vincolo, però: fare spesa pubblica funziona quando gli investimenti vanno nelle attività produttive, per incoraggiare la crescita in termini sia fisici sia sociali. Dunque occorre distinguere tra la speculazione che crea bolle finanziarie, e gli impieghi veramente utili. E' proprio questo il senso della politica industriale, indirizzare gli sforzi verso ciò che aiuta il paese a progredire, garantendo la capacità di sostenere il benessere e l'innovazione.

È ironico pensare che obiettivi di questo genere possano essere perseguiti attraverso l'Unione Europea, proprio l'istituzione che ha fissato nei suoi trattati regole ferree per evitare una politica di intervento pubblico, nel segno della globalizzazione liberista. Infatti negli ultimi anni il rafforzamento dell'Europa ha rappresentato più che altro il consolidamento di una politica antitetica alle necessità delle nazioni in questa fase di competizione tra grandi potenze.

Pensare di rendere più snella l'architettura europea, permettendo il voto a maggioranza e concentrando le capacità in settori come quello finanziario o della difesa, ma senza modificare seriamente l'impostazione neoliberale di fondo, sarebbe un grave errore, che rischierebbe di rendere ancora più difficile il cambiamento sostanziale di cui c'è bisogno.

Negli ultimi anni qualche segnale di cambiamento è arrivato, per esempio con l'incoraggiamento degli investimenti nei settori tecnologici, ma rimane ancora piuttosto limitato. Potrà davvero Mario Draghi dare la scossa all'Europa per cambiare direzione? Non si può essere troppo ottimisti, ma almeno si cominci a discutere sui temi veri, sperando che l'ideologia che ha dominato nel vecchio continente da almeno il 1992 possa essere messa in discussione prima che sia troppo tardi.

Di Andrew Spannaus

Il Giornale d'Italia è anche su Whatsapp. Clicca qui per iscriversi al canale e rimanere sempre aggiornati.

Commenti Scrivi e lascia un commento

Condividi le tue opinioni su Il Giornale d'Italia

Caratteri rimanenti: 400

Articoli Recenti

x